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Investigatori a caccia della “primula” sfuggita all’operazione antimafia

 L’ultimo latitante. È Daniele Lamanna, 38 anni, cosentino, l’unico indagato scampato all’operazione antimafia che ha disarticolato il clan guidato nella più importante città della Calabria settentrionale da Maurizio Rango. Lamanna è indicato dal pm distrettuale Pierpaolo Bruni come elemento di vertice della consorteria responsabile di decine di richieste estorsive avanzate nei confronti di piccoli e grandi imprenditori. La “primula” ricercata per effetto dell'ordinanza firmata dal gip di Catanzaro, Giuseppe Perri, è pure indagata per l’omicidio di Luca Bruni, “reggente” dell'omonimo clan scomparso per lupara bianca il tre gennaio del 2012 a Rende. Il fermo in relazione al delitto, disposto dalla Procura distrettuale, non è stato tuttavia convalidato dal gip di Cosenza, Livio Cristofano. I retroscena dell’eliminazione del boss sono stati svelati dai collaboratori di giustizia. Ecco cosa rivela Mattia Pulicanò: «Ho appreso direttamente da Maurizio Rango, che Luca Bruni è stato sparato da quest’ultimo dopo essere caduto in un tranello ordito da Adolfo Foggetti e Daniele Lamanna che gli hanno fatto credere di dover andare ad un “finto” incontro con Ettore Lanzino all’epoca latitante, quando invece venne portato da Maurizio Rango che lo uccise». Non dissimile il racconto della cognata della vittima, Edyta Kopaczynska, che offre la causale del crimine: «La scomparsa di Luca è stata determinata sicuramente dall’intento di mettere da parte la famiglia Bruni, Luca era l’ultimo del quale si poteva avere paura anche in considerazione del fatto che Fabio è, ancora oggi, ristretto presso la Casa Circondariale di Voghera. Già qualche mese prima della scomparsa di Luca, avevo avuto delle avvisaglie di quello che sarebbe successo. Luca è stato ucciso con un colpo di pistola, sparatogli a bruciapelo, da dietro appena entrato in auto ed appena dopo essersi seduto sul sedile anteriore lato passeggero ...». Silvio Gioia, invece, racconta: «Luca Bruni dopo la sua uscita dal carcere aveva dato inizio ad una serie di rivendicazioni avendo deciso di prendere il posto di capo del gruppo degli “zingari” già appartenuto a suo fratello Michele, deceduto in seguito ad un male incurabile, pertanto, i due gruppi di comune accordo decisero di eliminarlo». Le accuse dei pentiti, rispetto alle quali gli indagati si sono sempre protestati innocenti, non hanno trovato riscontro, come già accennato, nelle decisioni assunte dal Gip chiamato a convalidare i fermi. Oltre a Lamanna c’è nel Cosentino un altro latitante fino al momento imprendibile. Si chiama Edgardo Greco ed è alla macchia dall'ottobre del 2006. La Corte di assise di appello di Catanzaro gli ha inflitto l’ergastolo (la condanna è poi diventata definitiva) ritenendolo corresponsabile dell’imboscata costata la vita, il cinque gennaio del 1991, ai fratelli Stefano e Giuseppe Bartolomeo. I germani, diventati troppo “autonomi” rispetto alle cosche cosentine, vennero massacrati a colpi di spranga all’interno di una pescheria all’epoca nella disponibilità dei fratelli Mario e Pasquale Pranno. I Bartolomeo furono attirati in trappola con la promessa della consegna di due giubbini: appena entrati nella pescheria fu sbarrata la porta e finirono con l’essere selvaggiamente colpiti da Edgardo Greco e altre quattro persone. I loro cadaveri vennero trasferiti in Sila e sotterrati. Tre anni dopo, nel 1994, furono disseppelliti e squagliati nell’acido per timore che, sulla base delle rivelazioni dei pentiti, potessero essere ritrovati. 

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