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Altro colpo di scena
DNA non è di Carbone

Il caso Lanzino a distanza di 27 anni continua ad essere avvolto dal mistero. Anche la riapertura delle indagini dopo oltre 20 anni e il nuovo processo in corso davanti la corte d’assise di Cosenza sull’omicidio della studentessa di Rende, violentata e uccisa il 26 luglio del 1988 lungo la strada di Falconara Albanese,  che sembravano  finalmente portare alla verità rischiano di concludersi con un nulla di fatto. Le speranze riaccese dagli eccezionali risultati della perizia disposta dal presidente della corte, Antonia Gallo, e affidata al maggiore Carlo Romano e al maresciallo Giovanni Marcì dei Ris di Messina,  su alcuni reperti mai indagati, devono fare i conti con gli ulteriori sviluppi. Infatti, dopo l’esito negativo della comparazione del DNA isolato dalle tracce di liquido seminale individuate dai due esperti   su una zolla di terreno recuperata sotto il cadavere della povera Roberta, con quello dell’unico imputato, l’agricoltore di Cerisano, Franco Sansone,  oggi un altro colpo di scena. Anche l’altra comparazione quella con il DNA dei familiari di Franco Carbone, il pastore scomparso per lupara bianca un anno dopo il brutale assassinio di Roberta, e ritenuto insieme a Sansone,  l’autore della  violenza e dell’ omicidio di Roberta, ha dato esito negativo. I risultati sono stati depositati stamani nel tribunale di Cosenza dai due esperti dei RIS di Messina e saranno discussi nel corso della prossima udienza fissata per il 5 marzo.   Se il profilo genetico recuperato sotto il corpo di Roberta e, giocoforza del presunto assassino,  che potrebbe rappresentare la prova regina, non è di Sansone né del suo presunto complice, ucciso, secondo gli inquirenti, perché non parlasse, allora di chi è? Chi era presente sulla scena del crimine? Di chi è il liquido seminale trovato frammisto al sangue di Roberta? Domande a cui bisogna necessariamente dare risposte. Lo si deve a Roberta, innanzitutto, vittima di un destino atroce e di uno stato  che finora è stato incapace di renderle giustizia, troppi pasticci, troppi errori. Lo si deve ai suoi genitori, Franco e Matilde che aspettano da quel maledetto 26 luglio del 1988 di sapere chi ha assassinato la loro Roberta. Genitori che in tutti questi anni si sono battuti per la verità. Non vogliono un colpevole, ma il colpevole. 

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