Un diciassettenne è stato arrestato stamani dalla squadra mobile di Cosenza con l'accusa di avere ucciso, il primo aprile scorso, la madre di 53 anni, insegnante di musica. In un primo momento la morte era stata attribuita ad un incidente ma le successive indagini hanno portato ad accertare che la donna è stata strangolata.
La donna era stata trovata riversa ai piedi delle scale che conducono alla villetta dove abitava con marito e due figli. Dall'autopsia, però, sono emersi segni di strangolamento. Visto che sulla porta d'ingresso dell'abitazione e sulle finestre non c'erano segni di effrazione e che il diciassettenne era l'unica persona in casa al momento della morte, i sospetti si sono indirizzati sul giovane. Il ragazzo nei giorni scorsi è stato sentito dai magistrati della Procura dei minorenni di Catanzaro ai quali avrebbe detto di avere spinto dalle scale la mamma perché lo sgridava. Una tesi, tuttavia, non creduta dai magistrati che gli contestano l'omicidio volontario. Il giovane è stato portato nel carcere minorile di Catanzaro.
Il diciassettenne arrestato stamani dalla squadra mobile di Cosenza con l'accusa di avere ucciso la madre, una settimana dopo la morte della donna si era fatto tatuare sul braccio la frase "Nemmeno la morte ci potrà separare, ti amo mamma". Gli investigatori stanno cercando ora di capire se si sia trattato di un tentativo di depistare le indagini. Al ragazzo viene contestata anche l'aggravante dei futili motivi perché all'origine del delitto vi sarebbero state le sgridate della madre.
"Uccidere la madre vuol dire voler annientare, scientemente, la parte più intima di se stessi, quella parte critica che, sola, può penetrare nel tessuto emotivo dei soggetti inchiodandoli davanti allo specchio della verità, che nell'era dei social network fa risaltare le fragilità e non i costrutti di quella artata fantasia che ti rende perfetto agli occhi degli altri". Lo afferma in una nota il sociologo e presidente dell'Osservatorio sui Diritti dei Minori, Antonio Marziale, circa l'arresto a Cosenza di un minorenne accusato di aver ucciso la madre. "Non occorre, adesso, inerpicarsi - prosegue - sulle pareti scoscese delle diagnosi intrapsichiche, perché quanto avvenuto, per futili motivi, per un normale confronto generazionale, è frutto di lucidità strategica che il minorenne ha palesato negli attimi immediatamente successivi al decesso della madre al fine di sviare le indagini, senza riuscire però ad ingannare gli uomini del vice questore Giuseppe Zanfini, ai quali va il più sincero apprezzamento per la professionalità e la sensibilità che ha contraddistinto l'azione di Polizia al cospetto di un caso destinato a rimanere impresso nella storia dei delitti più raccapriccianti". "Pensare di farsi tatuare a tutto braccio - evidenzia il sociologo - un'ode d'amore alla madre, dopo averla uccisa e dopo avere fatto di tutto per nascondere l'orrenda verità, ci dice che abbiamo a che fare con una mente lucidamente esaltata. Adesso è tempo della pietà, è tempo della giustizia, che tenuto conto dell'età dell'omicida non potrà comminare l'ergastolo, come magari i più indignati vorrebbero, ma è anche tempo che la giustizia si renda conto che l'adolescenza non è una malattia, bensì una fase della vita che ci dice con che tipo di soggetto la società avrà a che fare".
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