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Due nuovi pentiti in pochi giorni, record di collaboratori a Cosenza

 Un pallottoliere. È quello che serve per contare i collaboratori di giustizia che affollano le scene giudiziarie della Calabria settentrionale. Il numero dei pentiti è, infatti, in crescita progressiva: più aumenta la pressione della magistratura inquirente, maggiori sono le richieste di “alloggio” a spese dello Stato. Se fosse terrorismo parleremmo di una vera e propria esclation, ma trattandosi di uomini dediti al crimine non possiamo che far riferimento ad una lenta e inesorabile resa di “azionisti”, “narcos” e “rapinatori” dal futuro incerto. Una resa guardata con cautela dalla Dda di Catanzaro. L’ultimo a saltare il fosso è stato Marco Massaro, 30 anni, finito in manette per scippo e sospettato in passato di spaccio di stupefacenti. Il trentenne avrebbe deciso di “cantare” perché temeva di fare una brutta fine dopo l’ammanco legato a una partita di droga. Pochi giorni fa ha scelto di lanciarsi tra le braccia degli inquirenti pure Marco Paura, 27 anni, coinvolto nell’inchiesta della Dda di Catanzaro che ha smantellato un’associazione di trafficanti di droga particolarmente attiva nel centro storico di Cosenza. La moglie, pure lei arrestata ed ora ai domiciliari, non lo seguirà nella scelta collaborativa. A luglio, invece, Giuseppe Montemurro, 32 anni, “buttafuori” nei locali notturni del Cosentino, aveva preferito le cure delle forze di polizia al carcere dopo essere stato trovato in possesso di due pistole e di stupefacente. Il trentaduenne ha raccontato – alcuni verbali con le sue confessioni sono già stati depositati – come le cosche della ’ndrangheta controllassero la “guardiania” dei locali notturni imponendo loro uomini per garantirne la sicurezza. Le rivelazioni di Montemurro hanno fatto il paio con i dati emersi dall’indagine condotta contro il clan “Rango-Zin - gari” che avrebbe da tempo assunto un ruolo egemone nell’ambito della criminalità organizzata bruzia. Nell’ultimo anno hanno pure deciso di vuotare il sacco Adolfo Foggetti, corresponsabile dell’omicidio del boss Luca Bruni (ne ha fatto ritrovare i resti); Silvio Gioia, ex guardia giurata coinvolta nello smercio di droghe leggere e pesanti, e Mattia Pulicanò, pure lui impegnato nell’attività spaccio ma, soprattutto, autore di clamorose rivelazioni relative all’interramento di sostanze tossiche nelle campagne di Lattarico, piccolo centro del Cosentino, compiuto da esponenti della ’ndrangheta in combutta, addirittura, con i temuti casalesi “specialisti”– per così dire – del settore. Le dichiarazioni sui rifiuti sepolti nell’amena località calabrese non hanno per fortuna, fino adesso, trovato alcun riscontro. La provincia di Cosenza vanta il più alto numero di pentiti, considerato che in venti anni hanno saltato il fosso boss e picciotti d’ogni genere e fattura. A partire dal “mammasantissima” Franco Pino (maggio 1995) per finire con Edyta Kopaczinska (agosto 2013) vedova del padrino Michele Bruni. Alcune collaborazioni sono particolari. Nell’ottobre del 2012, per esempio, ha cominciato a parlare Pierluigi Terrazzano, ventisette anni, rapinatore che, per amore della sua donna, decide di pentirsi, sperando invano che l’amante lo segua nella scelta collaborativa accettando di cambiare residenza e andando a vivere con lui in una località protetta. Cosa che, al contrario, non avverrà. Nella primavera del 2013 viene ufficializzata, invece, la collaborazione con la magistratura antimafia di Francesco Oliverio, originario di Belvedere Spinello ma “capo” della ‘ndrina instaurata a San Giovanni in Fiore. L’uomo racconterà d’intrighi mafiosi riguardanti anche la Liguria e la Lombardia. Nell’ago - sto del 2013 un inatteso colpo di scena con Edyta Kopaczynska, condannata a sei anni al termine del maxiprocesso “Telesis” e moglie del defunto Michele Bruni, che si lancia tra le braccia dello Stato. Lei sa tante cose e, parlando un italiano gergale, svela tutti i segreti della cosca e gli appoggi di cui godeva.

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