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«La “soffiata” sull’arsenale non c’entra col delitto»

«La “soffiata” sull’arsenale non c’entra col delitto»

«Volevo confessare subito, ma sono scappato per paura». Ha confermato la sua iniziale versione dei fatti, Franco Attanasio, il 33enne originario di San Lorenzo del Vallo omicida reo confesso del compaesano Damiano Galizia, 31 anni, assassinato con quattro colpi di pistola in una villetta di Rende. Attanasio, comparso ieri davanti al gip Francesco Luigi Branda e al pm Giuseppe Visconti, ha nuovamente rievocato i punti nodali di quei cinque giorni trascorsi tra il delitto e il ritrovamento del cadavere: l’incontro con Galizia nei pressi dello svincolo autostradale di Cosenza Nord, il viaggio verso quell’abitazione immersa nelle campagne che circondano l’Università della Calabria, l’assassinio con la pistola detenuta per «difendermi», il tentativo d’occultare il corpo 24 ore dopo l’omicidio, la fuga e infine la scelta di consegnarsi agli uomini della squadra mobile cosentina. Attanasio, difeso dagli avvocati Gianluca Bilotta e Maria Gagliardi, ha poi aggiunto che la sua “soffiata” sul maxi-arsenale rinvenuto dalla polizia proprio nelle vicinanze dello svincolo rendese dell’A3, nulla ha a che fare col delitto. Un assassinio, sempre secondo il 33enne, maturato per questioni economiche. La vittima avrebbe del resto prestato 17mila euro ad Attanasio, che versava in una difficile situazione finanziaria, pretendendo la restituzione del denaro con insistenza. Una pressione che l’omicida non avrebbe tollerato, a maggior ragione per il ricordo ancora vivo degli schiaffi ricevuti da Galizia nel 2008. E la “cantata” sulle armi? Attanasio, che nel suo ruolo di intermediario immobiliare aveva procurato a Galizia il garage in cui è stata rinvenuta la santabarbara, ha spiegato di non aver mai saputo cosa fosse nascosto in quel box auto. L’unico sospetto nasceva dal fatto che il 31enne gli avrebbe più volte ripetuto di non avvicinarsi a quel luogo. Al termine dell’interrogatorio di ieri, il gip Branda ha emanato un’ordinanza di custodia cautelare che costringe l’indagato a rimanere in carcere. L’ipotesi di reato è quella di omicidio volontario.

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