Il male oscuro scorre nelle viscere di Cosenza generando altro male. Sono i quattrini a disegnare le nuove alleanze criminali, a rimodulare le mappe del potere. Ogni cosca ha un suo recinto, ogni ’ndrina il suo territorio da far fruttare. Soldi sporchi che la ’ndrangheta inghiotte coi prestiti a strozzo, il racket e la droga. Il passaggio finale di quel fiume di quattrini è sempre lo stesso: l’usura. La cosa nostra cosentina prima vessa gl’imprenditori in difficoltà economiche e poi li spoglia. Gente per bene è costretta a rinunciare alla sua azienda, alla dignità e qualche volta anche alla vita, per saldare i debiti con i boss. Storie di una città diversa, che galleggia nella penombra, stretta nelle mani dei clan, da un angolo all’altro del perimetro urbano. Le rotte principali all’interno di questo universo di paura vengono tracciate dai ricordi di Roberto Violetta Calabrese, l’ex “consulente finanziario” del clan Lanzino, arruolato dallo Stato. Un “disertore” che, in questi anni, ha riempito d’inchiostro decine di verbali con le sue conoscenze di quel mondo nel quale non era mai ufficialmente entrato per sua scelta. Vagava ai margini ma sapeva tutto perchè c’era sempre qualcuno che gli soffiava la notizia. Un pentito di ’ndrangheta che non ha mai ricevuto la “santa”. «Non sono ero affiliato ai clan ma venivo considerato un “uomo serio”, mi occupavo di prestiti a strozzo e qualche volta mi è stato chiesto pure di intervenire su alcune richieste di “pizzo”». Un uomo che sapeva molto, abbastanza per mandare in crisi gli affari della ’ndrangheta. Per questo le coppole hanno provato più volte a fermarlo. La prima volta fu il 26 novembre del 2012: 5 colpi di pistola sparati contro la vetrina del centro di bellezza, il “Baia del sole”, di via 24 Maggio, gestito dal fratello del collaboratore di giustizia. Un locale nuovamente preso di mira il 6 marzo del 2013: due colpi di pistola sparati contro le vetrate del locale, intorno alle 17, in mezzo a tanta gente, col rischio d’ammazzare qualcuno. L’ultimo, in ordine di tempo, il 16 dicembre scorso, quando un pistolero arrivato in moto sparò otto colpi di pistola contro le vetrate della pizzeria gestita dai familiari di Violetta Calabrese, in piazza Loreto. Attentati che non sono serviti a scoraggiare il pentito. E i suoi racconti sono diventati l’architrave delle accuse nell’operazione che ha portato a individuare i componenti del braccio finanziario della ’ndrangheta. Nomi noti e altri meno noti sono finiti nell’ordinanza cautelare richiesta dal procuratore Nicola Gratteri e dai suoi aggiunti, Giovanni Bombardieri e Vincenzo Luberto. Dentro le carte dell’inchiesta ci sono le storie che affiorano dal pezzo nero sul quale sono rimasti affacciati per anni i carabinieri del Provinciale e i superdetective del Ros. Trame che s’intrecciano coi ricordi di Roberto Violetta Calabrese, l’uomo del “dialogo”, colui il quale sapeva parlare alla gente in difficoltà. Tutti disperati, senza più liquidità. Commercianti e operatori economici nell’area urbana che gestivano negozi, imprese e attività produttive. Buttavano tutti l’anima e il sangue dietro al bancone o nei loro cantieri e bruciavano anche tanti quattrini. I costi erano sempre troppo alti e i soldi che finivano nelle loro cassa non bastavano mai per coprire le spese. Così, rivolgendosi alle banche si indebitavano fino al collo. Il giro di vite imposto dagl’istituti di credito finiva per spingere gli sventurati verso gli usurai. Già, perchè una volta fuori dai circuiti di credito legali e sempre più in difficoltà economiche i malcapitati sarebbero stati costretti a rivolgersi ad amici degli amici per ricevere aiuto. Spesso, sarebbe stato lo stesso Violetta Calabrese a muoversi da intermediario tra imprenditori in difficoltà e finanziatori delle cosche. E un prestito dopo l’altro, la ’ndrangheta ha messo le mani sulla città.
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