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Il "nodo" dei cravattari che soffoca l'economia

Il "nodo" dei cravattari che soffoca l'economia

Un cappio stretto intorno al collo di uomini in estrema difficoltà. Un nodo scorsoio che distrugge vite e famiglie, seppellite da debiti che aumentano di settimana in settimana. Quella dell’usura è del resto una delle piaghe più purulente della nostra società, un reato subdolo che troppo spesso passa quasi inosservato. Le vittime vengono infatti inghiottite in un gorgo da cui non riescono più a uscire, schiavi di falsi amici e minacce crescenti in caso di problemi nel pagamento di interessi folli.

Tra le pieghe di “Factotum”, l’inchiesta della Procura bruzia che martedì mattina s’è tradotta nell’esecuzione di 37 ordinanze di custodia cautelare, uno spazio importante è riservato proprio all’usura. E dall’analisi delle ipotesi accusatorie emergono ancora una volta episodi inquietanti, l’altra faccia di quella brutta medaglia “coniata” da una crisi economica che morde e fa male. Gli uomini della Polizia stradale e della Guardia di finanza, coordinati dal procuratore Mario Spagnuolo e dai suoi magistrati, hanno ricostruito una decina di prestiti usurari effettuati da alcuni dei sospettati. L’indagine s’è mossa essenzialmente su una doppia direttrice: le testimonianze delle vittime ormai esauste e le intercettazioni ambientali. C’è ad esempio un imprenditore che ha immediato bisogno di 6mila euro e per questo si rivolge a un suo amico d’infanzia, Donovan Falbo, anche lui finito due giorni fa ai domiciliari. Falbo (al quale non viene contestato questo singolo episodio in quanto avrebbe agito da semplice intermediario) mette in contatto l’uomo con Franco Iaquinta. Il prestito viene erogato praticamente subito: 6mila euro in contanti ai quali aggiungere 1.500 euro mensili come interessi. Ma onorare il debito non è facile e dopo qualche mese, sfiancato dalle continue e pressanti richieste di denaro, l’imprenditore denuncia tutto.

In un altro caso ad essere coinvolto è Pietro Le Piane, vecchia conoscenza degli uffici investigativi cosentini. È sempre un imprenditore ad avere bisogno di denaro liquido, soldi che il sospettato avrebbe consegnato alla vittima nei dintorni di piazza Valdesi: 3mila euro con un interesse di 300 euro mensili fino alla chiusura del debito. Spesa che però sale in maniera esponenziale quando l’uomo, in perenne difficoltà, chiede un ulteriore prestito.

Una vicenda particolare vede sott’accusa Egidio Callegari e Rosario Salotti, quest’ultimo noto anche col nome di Massimo. Dopo essere riuscito a onorare tra mille difficoltà il suo debito, un imprenditore parla con i detective. E mette a verbale che «a fronte del debito di 3.850 euro ho consegnato complessivamente la somma totale di 13mila euro tra interessi e capitale». La vittima racconta di aver ottenuto quel denaro da Callegari, che a sua volta preme perché «lui stesso avrebbe dovuto restituire tale somma a tale Massimo titolare di una scuola guida di Rende». Massimo vuole quindi incontrare il debitore, invitandolo di persona a pagare «poiché lui stesso ne doveva dare conto a terzi soggetti di cui non mi svelava l’identità».

Sulla testa di Callegari pendono altre accuse d’usura, una perpetrata ai danni d’una giovane donna che compare più volte nelle carte di “Factotum”. La ragazza è infatti un’assidua frequentatrice del garage di Alfredo Albanito, il luogo in cui gl’investigatori hanno riscontrato numerose cessioni di cocaina con tanto di sniffate in diretta. Il costoso vizio avrebbe così spinto la donna a chiedere un prestito di mille euro, scaraventandola in un altro mare di guai. Ma i soldi, si sa, non bastano mai e sempre questa giovane tossicodipendente si rivolge per l’ennesimo prestito a un altro indagati, Mario De Luca.

La frustrazione, le paure, le ansie e la disperazione degli usurati è evidente in ogni tratto delle loro testimonianze e delle intercettazioni in cui spunta la loro voce. Ma anche chi è inserito in questo turbinio di denaro che va e che viene non è da meno. Emblematiche sono le parole dello stesso De Luca in una conversazione con Egidio Callegari intercettata dagli investigatori: «Mi devo andare a vendere un rene, Egì?». Perché i soldi fanno diventare schiavi se non si è in grado di maneggiarli con cura.

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