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Scandalo precari, interdizione per tre funzionari

Scandalo precari, interdizione per tre funzionari

Parole come pietre. Il gip cosentino Giuseppe Greco firma le misure interdittive contro tre funzionari pubblici usando l’inchiostro urticante. Pasquale Capicotto, di Pianopoli, funzionario della Regione e già responsabile dei lavoratori Lpu-Lsu, gli ha raccontato qual è stato il metodo attuato dall’Asp bruzia e dagli uffici del maggior ente calabrese per “sistemare” 133 persone. E il magistrato, dopo averlo ascoltato a lungo e in silenzio, scrive: «La ricostruzione dei fatti fornita da Capicotto delinea uno scenario di decadenza da fine impero nel quale si osserva la definitiva subordinazione di fondamentali gangli della pubblica amministrazione a interessi privati. La degenerazione è tale che numerosi dirigenti apicali di uffici pubblici mostrano di adoperarsi al solo fine di dirottare risorse pubbliche in complessi – per non dire “perversi” – meccanismi volti a captare il consenso elettorale necessario ad alimentare le basi del potere gestito con disinvolta arroganza nell’ambito di organi istituzionali di diretta investitura democratica». Il quadro descrive una situazione tanto grave e problematica da richiamare alla memoria la definizione di «sfasciume pendulo sul mare» con cui Giustino Fortunato descriveva la Calabria nel secolo scorso. Il Gip Greco precisa, ancora: «Le dichiarazioni di Capicotto provengono dal cuore di un sistema degenerato nel quale le istituzioni della Repubblica, disancorate dal perseguimento dei propri fini istituzionali, operano al prioritario fine di assicurare la sopravvivenza di un sistema che pare del tutto inconsapevole di essere ormai prossimo alla catastrofe economica e finanziaria».
Il contesto cui si fa riferimento è quello della sanità regionale. Ed i dirigenti pubblici da ieri “interdetti” dalle loro funzioni lavorative sono: Gianfranco Scarpelli, di Cosenza, ex direttore generale dell’Asp; Vincenzo Caserta, di Catanzaro, già dirigente generale reggente del Dipartimento Lavoro della Regione; Antonio Perri, di San Fili, già direttore del Distretto Cosenza-Savuto e delegato dall’Asp per i rapporti con l’assessorato al Lavoro regionale. Nella città più importante dell’alta Calabria, per gli stessi fatti, è finito agli arresti domiciliari il sindacalista Francesco Mazza, 59 anni, di Cetraro con l’accusa di concorso in abuso d’ufficio e falso. L’inchiesta condotta dalla Finanza e diretta dal procuratore Mario Spagnuolo, dall’aggiunto Marisa Manzini e dal pm Giuseppe Visconti, vede indagate altre 133 persone. Si tratta dei precari favoriti – a parere dei Pm – attraverso l’adozione d’un ben articolato meccanismo burocratico e amministrativo, affinchè potessero essere utilizzati, pur se privi di titoli, negli uffici amministrativi dell’Asp cosentina attivi sul territorio. Per consentire agli indagati di ottenere l’indubbio vantaggio occupazionale e patrimoniale sono state retrodatate al 2010 le domande che componevano l’elenco inviato alla Regione. Di più: l’intero elenco, a Catanzaro, sarebbe stato manomesso con l’uso di timbro e numero di protocollo fittizi. I lavoratori – ben “ consigliati” – avrebbero inoltre prodotto all’Asp bruzia false dichiarazioni per sostenere di aver presentato la richiesta di sostegno al reddito nel 2010. Richiesta che dava loro diritto al tanto agognato beneficio. L’astuto meccanismo – e qui viene il bello – è stato messo in piedi a ridosso delle elezioni regionali del 2014. Tra i lavoratori beneficiari figurano, tra gli altri, figlia e nipote dell’ex consigliere regionale Giulio Serra, e figli di stretti collaboratori dell’ex consigliere regionale Nicola Adamo.
Capicotto avrebbe avallato la falsificazione di date e numero di protocollo richiesta da Mazza. Gli altri dirigenti pubblici avrebbero invece favorito l’utilizzo dei precari. L’ipotesi originariamente fatta dai magistrati inquirenti ha dunque trovato pieno riscontro e cristallizzazione nelle dichiarazioni rese al Gip proprio da Giuseppe Pasquale Capicotto. Gli indagati, che si protestano innocenti, sono difesi dagli avvocati Guido Siciliano, Giovanni Spataro, Paolo Fiorentino, Leopoldo Marchese, Francesco Iacopino e Crescenzio Santuori.

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