Il pentito di montagna. Vittorio Spadafora, 33 anni, conosce San Giovanni in Fiore come le sue tasche. È nato e vissuto nella “capitale” della Sila ed è il fratello prediletto di Giovanni Spadafora insediato come “capo” della ’ndrina dai “compari” del crotonese. Al germano era demandato il compito di controllare non solo gli “affari” di San Giovanni ma pure di Lorica e Camigliatello. E Vittorio è stato gli occhi e le orecchie del “padrino” deposto da un’inchiesta dello scorso autunno condotta dalla Dda di Catanzaro.
Il procuratore Nicola Gratteri, l’aggiunto Vincenzo Luberto e il pm antimafia Domenico Guarascio chiesero e ottennero, nei mesi scorsi, l’arresto dei due “fratelli di ’ndrangheta” dimostrando, per la prima volta, l’esistenza sull’altopiano di un’associazione mafiosa potente e feroce. Un gruppo responsabile di estorsioni, traffico di droga e imposizioni d’ogni sorta funzionalmente dipendente dal “locale” di Belvedere Spinello, rimesso in piedi dopo una “sospensione” decisa nel 1988 e durata sino al 2005. I cirotani affidarono la “riapertura” della consorteria criminale a Francesco Oliverio (oggi collaboratore di giustizia) autore peraltro di un agghiacciante omicidio compiuto nel 2007 a San Giovanni.
Il boss, appena insediato, decise ed eseguì l’agguato costato la vita a un macellaio del luogo, Domenico Silletta, assassinato e poi bruciato tra i boschi silani. Da Belvedere Spinello – ha spiegato proprio Oliverio – dipendono le ‘ndrine distaccate di San Giovanni, Cerenzia, Caccuri, Rocca di Neto e Castelsilano. Il “locale” era stato “sospeso” per via delle intemperanze mafiose di Guirino Iona, carismatica figura della ’ndrangheta crotonese che, impegnato in una sanguinosa guerra, aveva pestato i piedi a tutti gli altri “padrini” fatta eccezione per gli Arena di Isola Capo Rizzuto. A Giovanni Spadafora era stata poi assegnata la “reggenza” dell’area silana ricadente nel territorio cosentino. Ma la cosa non era andata giù a Nicolino Grande Aracri, boss di Cutro, e indicato sia dai magistrati antimafia che dal pentito lametino Giuseppe Giampà (figlio di Francesco Giampà detto “il professore”) come il nuovo “capo crimine” capace di avere l’ultima parola su qualsiasi questione mafiosa attinente le zone mediana e settentrionale della regione: da Lamezia a Catanzaro, Soverato, Crotone, fino a Cosenza, Paola, Corigliano, Sibari, Cassano, Altomonte e Castrovillari. Spadafora, autista di Antonio Dragone, il padrino di Cutro rivale di Grande Aracri, era scampato all’agguato costato la vita al suo “capo” nel 2004. Presentatosi a rapporto dal boss dei boss nel febbraio e marzo del 2013, il “reggente” di San Giovanni venne trattato con sufficienza. «Facevi l’autista a Dragone » gli ha detto Grande Aracri incontrandolo «ti è andata bene, te la sei scampata! A quell’epoca non c’interessavi sennò finivi male... Ci interessava solo lui...». Eppoi: «Ti hanno messo a San Giovanni in Fiore...e qua io ti potrei gacciare (prendere a colpi d’ascia n.d.r.) perché nessuno può fare niente se non lo so pure io...».
Come dire: Spadafora doveva eseguire ordini e basta. La Sila era di Grande Aracri e di nessun altro. Un concetto che il “mammasantissima” aveva ripetuto ai suoi in un’altra riunione, l’8 novembre 2012, intercettata dai carabinieri: «I cosentini a San Giovanni in Fiore non comandano niente. Non sono persone che possono venire da noi e dirci chi dobbiamo mettere e a chi ci possiamo rivolgere. Non hanno i titoli né i modi... E debbono fare quello che diciamo noi». Ora Vittorio Spadafora, fratello di Giovanni, sta raccontando ai pm antimafia Gratteri, Luberto e Guarascio cosa i due germani, insieme ai compari di cosca, hanno combinato in questi anni sotto l’egida del potente “capo crimine” di Cutro già cinico “colonizzatore” della Emilia Romagna. Quali contatti istituzionali, politici e imprenditoriali hanno avuto, quanto denaro hanno estorto agli imprenditori. Vittorio sa tutto.
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