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La moglie del boss
respinge le accuse

La moglie del boss respinge le accuse

Angelina Corsanto, 74 anni, si difende. Respinge le accuse dei pm della Dda di Catanzaro e nega d'essere stata demandata a gestire la “bacinella” della cosca.  Non ha paura dei giudici e il suo è un atteggiamento di sfida. “Donna Flora” ­ - così la chiamano a Cetraro – è la prima donna condannata per associazione mafiosa in Calabria: nel 1995 le inflissero 5 anni di carcere. Ma lei è, soprattutto, la moglie d'un mammasantissima della 'ndrangheta. Un uomo di grande carisma criminale. Un carisma di cui si giovava Giorgio Barbieri, l’imprenditore qurantunenne aggiudicatario dei più importanti lavori pubblici in corso di realizzazione nell’alta Calabria. Dall’aviosuperficie di Scalea all’impianto di risalita di Lorica, passando per l’avveniristica piazza Bilotti di Cosenza. Franco Muto, 77 anni, il “re del pesce” di Cetraro, è stato il nome speso dal costruttore per non avere fastidi, tenere a bada boss scalpitanti, risolvere questioni spinose ed entrare in partnership con i “colleghi” della Piana di Gioia Tauro. Un nome “costoso” considerato che Barbieri avrebbe elargito – questa la tesi di accusa – ingenti somme di denaro al “mammasantissima”. Un quadro del quale adesso Barbieri dovrà dar conto al Gip. Il suo braccio destro, Massimo Longo, 50 anni, parlando con un amico in ordine a possibili investimenti da fare nella Locride ha rivelato nella primavera dello scorso anno – inconsapevole d’essere intercettato – il “peso” del legame aziendale con Muto: “Non è che c’abbiamo altri tipi di problema...quelli proprio a noi ci sfiorano…le interferenze esterne…quelle proprio, non ci passa manco per l’anticamera...”. Come dire: il problema ’ndrangheta non si pone. Quanto conti il “re del pesce” nella criminalità organizzata meridionale è raccontato da fatti e testimoni. Il carisma criminale di Franco Muto è sempre stato riconosciuto, oltre che in Calabria, pure in Sicilia e Campania. Qualcuno sostiene che sedesse spesso a fianco dei componenti della “cupola” di Cosa Nostra per via dell’amicizia intessuta con Nitto Santapaola. Certo è che i capi della “Nuova Famiglia”, potente organizzazione camorristica che aveva spazzato via, a metà anni 80, la Nuova camorra organizzata fondata da Raffaele Cutolo ne parlano con rispetto. Sia Carmine Alfieri che Pasquale Galasso, oggi pentiti. Mario Pepe, capo dell’Agro-Nocerino-Sarnese e protagonista di spregiudicati investimenti immobiliari nella zona di Scalea, rivela di aver offerto “copertura” al boss cosentino pure quando venne ricoverato in ospedale a Napoli. «Gli misi a disposizione uno dei miei ragazzi – ha detto – che ogni giorno ritirava in un ristorante partenopeo il pranzo per lui». Il valente camorrista faceva, insomma, da guardaspalle e da “maggiordomo” al padrino calabrese. Quanto contasse Muto in Calabria lo si capì, invece, quando venne celebrato il processo alla cosiddetta “mafia delle tre province”. Nel gabbione di udienza prendeva infatti posto accanto a don Peppino Piromalli.

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