Il confine tra la vita e la morte venne oltrepassato in un pomeriggio freddo e umido di un anno fa. Nell’aggressione brutale a una donna c’è la storia di una famiglia ridotta a brandelli dalla follia e, soprattutto, l’attimo in cui cambia per sempre il destino dei componenti di quella famiglia. Un attimo che spegne improvvisamente la vita di Annalisa Giordanelli. La dottoressa venne uccisa sul lungomare “San Francesco” di Cetraro, sorpresa dal suo assassino mentre faceva jogging. Quel giorno il medico cinquantatreenne correva in tuta e scarpette ma non sapeva di correre verso la morte. Il primo ad accorgersi del delitto fu un passante che notò quel tra il marciapiede e la strada, in mezzo a un lago di sangue. Annalisa era rimasta lì, massacrata a colpi di spranga al capo da qualcuno che era fuggito. Una fine agghiacciante che spalancò le porte a un mistero. Un giallo che durò, però, poche ore. Nella notte, torchiato dai carabinieri, il cognato infermiere della vittima, Paolo Di Profio, 47 anni, confessò: «Sono stato io. S’era messa in mezzo tra me e la sorella. Il nostro matrimonio era finito per colpa sua». Parole farfugliate mentre il capo dei pm Bruno Giordano firmava il suo arresto. A un anno di distanza, Di Profio attende il processo davanti alla Corte d’assise di Cosenza (presidente: Giovanni Garofalo; a latere: Francesca De Vuono). Il dibattimento comincerà il 6 febbraio. L’accusa è di omicidio volontario. Nel chiuso dell’aula delle udienze preliminari del Tribunale di Paola, l’infermiere ha chiesto perdono alla famiglia confessando l’omicidio (l’aveva già fatto davanti ai carabinieri). Non un delitto premeditato, però, anche se non era un segreto l’odio provato verso Annalisa: «È la mia rovina. Ha influenzato mia moglie nella separazione e ora si preoccupa di decidere come e quando dovrò vedere i miei figli». Quel giorno il destino fece incrociare i due cognati: lei correva, lui transitava alla guida della Fiat Panda verde 4x4. Forse, però, quell’incontro non sarebbe stato del tutto casuale perchè lui avrebbe voluto parlare con la donna, spostarla dalla sua parte nel difficile percorso verso il divorzio. Probabilmente avrebbe sperato di rimettere insieme i brandelli di un legame ormai inesistente. Ma lei si sarebbe rifiutata di parlare. Una opposizione che avrebbe innescato la miccia della follia a combustione rapida. Di Profio avrebbe inchiodato la vettura e dopo essersi armato con la spranga che aveva in auto, avrebbe rincorso la cognata colpendola con violenza al capo almeno tre volte, come rivelò l’autopsia. Alla vigilia dell’inizio del processo, i giudici della Corte d’assise hanno disposto il sequestro conservativo dei beni dell’imputato (che è difeso dall’avvocato Sabrina Mannarino): due vetture, l’usufrutto su un immobile e su un terreno a Cetraro. Il provvedimento serve a garantire, in caso di condanna di Di Profio, le garanzie sul pagamento della pena pecuniaria e delle spese in favore delle parti civili.
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