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Rivelazione in aula: schiaffeggiata la figlia di un pentito

Rivelazione in aula: schiaffeggiata la figlia di un pentito

Un bimbo ucciso e bruciato. Due imputati e, sullo sfondo, le minacce lanciate contro la figlia d’un pentito di ’ndrangheta. Il bimbo si chiamava “Cocò” Campolongo e venne assassinato, insieme al nonno e ad una donna maghrebina, il 16 gennaio di tre anni addietro a Cassano. I sospettati del delitto (ora a giudizio) sono Cosimo Donato e Faustino Campilongo (difesi da Vittorio Franco ed Ettore Zagarese). Il collaboratore di giustizia è, invece, Michele Bloise, ergastolano e teste di accusa nel processo in corso a Cosenza.

Sentito dall’Assise (presieduta da Giovanni Garofalo) Bloise ha confermato le accuse fatte in fase di indagini preliminari contro i due imputati aggiungendo un particolare di non poco conto: «Mia figlia è stata aggredita e schiaffeggiata a scuola dal figlio di uno degli imputati». 

Il grave episodio sarebbe avvenuto dopo l’arresto di Donato e Campilongo, quando divennero pubbliche le dichiarazioni fatte al procuratore aggiunto di Catanzaro, Vincenzo Luberto, dal collaboratore. Minacce e insulti toccarono pure alla ex moglie di Bloise. Sugli episodi resi noti solo adesso sono in corso indagini. L’istruttoria dibattimentale contro i presunti assassini del bimbo, del nonno Peppe Iannicelli e della marocchina che era in loro compagnia, è affollata di ex mafiosi pentiti. Prima di Bloise aveva infatti deposto Pasquale Perciaccante, già “azionista” del clan degli Abbruzzese di Cassano, indicando in aula i suoi antichi “compari” come mandanti del triplice omicidio. «Sono stati gli zingari. Volevano ammazzare Iannicelli da tempo... Per loro, Peppe Iannicelli era un “infame”». S’era sparsa la voce che volesse collaborare con i giudici.

Ma la deposizione che più ha stupito, nelle ultime due udienze, è stata quella resa da Domenico Falbo affiliato alla cosca cassanese dei Forastefano, da sempre rivale degli Abbruzzese. Il collaboratore, assistito dall’avvocato Loredana Gemelli, ha detto di aver appreso, nel dicembre scorso, nel carcere di Aosta da Daniel Panarinfo, ex malavitoso legato ai Nirta di San Luca, che durante una comune detenzione avuta da questi con Faustino Campilongo, a Torino, avrebbe ricevuto la confidenza che «loro, cioè lui e Donato, erano stati costretti ad uccidere il bambino, Iannicelli e la donna per ottenere l’affiliazione al clan degli zingari». La circostanza, al momento, non è stata riscontrata.

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