La sanità calabrese non è più l’albero della cuccagna. Tra tagli di ospedali e riduzioni di letti, ormai, in corsia non entrano più nemmeno i moribondi. Non ci sono posti nei reparti ed è tutto esaurito anche al Dea. Persino i pazienti più gravi, quelli che arrivano in codice rosso, finiscono in sala d’attesa nella speranza che prima o poi una barella (si comincia da quelle) si liberi. Il piano di rientro lacrime e sangue continua a produrre effetti devastanti ma solo sui cittadini. La politica litiga sul commissariamento e, intanto, non vede e non sente. All’“Annunziata” non sanno più cosa inventarsi per fronteggiare l’emergenza senza fine. Da quando sono stati cancellati i piccoli ospedali del Cosentino, la gente arriva tutta qui. E tutta qui si mette in coda ad aspettare risposte da medici e infermieri. Chiede, s’informa, e nel frattempo s’affida alla Madonna del Pilerio. L’assedio in Pronto soccorso è quotidiano, tra urla di rabbia e di dolore, anche se qui, nella prima linea della sanità cittadina, le cose sono cambiate dal punto di vista organizzativo. Con l’arrivo del nuovo primario, Michele Mitaritonno, il personale si muove secondo schemi ordinati. Il disastro rimane perchè senza posti letto non si può garantire assistenza. È lo sfascio della sanità pubblica che in passato ha ingoiato fiumi di quattrini e che oggi fatica a sopravvivere in mezzo ai risparmi. Si taglia su tutto. Anche sul personale. Le nuove assunzioni si fanno spostando medici precari da una struttura all’altra e offrendo loro un contratto a tempo indeterminato. Si spoglia un altare per vestirne un altro. Quello che è accaduto all’Ortopedia di Paola, un reparto d’eccellenza che in un colpo solo ha perso quattro medici trasferiti a Cosenza. E così è successo che un paio di giorni fa un giovane ha tentato inutilmente di sottoporsi a un intervento in artoscopia al ginocchio. All’“Annunziata” avevano i medici ma non lo strumento necessario per l’intervento. A Paola, viceversa, l’apparecchio c’era ma mancava il personale. È finita che nel caos dei due ospedali, il giovane si è dovuto rivolgere a una struttura privata. Funziona così la sanità pubblica in Calabria, e, soprattutto, funziona così in questa porzione della Calabria più settentrionale. Una sanità che non assiste e non cura più gli ammalati. Il paziente è un numero, anzi, un costo, un costo sociale. Insomma un peso che incide sui bilanci. Una volta c’erano le Mutue che offrivano assistenza e medicinali. Si entrava col libretto sanitario, si usciva con le ricette. E negli ospedali non c’era la fila per i ricoveri. Se uno stava male entrava e basta. Ora si rischia di restare fuori anche con infarto e ictus. Ma i paradossi non sono terminati. L’“Annunziata” è di nuovo una struttura capofila nei trapianti di rene grazie al primario Vaccarisi. Anche il suo bisturi spesso deve, purtroppo, arrendersi all’evidenza dei fatti. Le sale operatorie rimangono sotto sequestro con facoltà d’uso. In attesa che si adempia alle prescrizioni della Procura, i chirurghi le aprono solo nei casi disperati. L’attività è ridotta all’essenziale, gli interventi di routine vengono rinviati a data da destinarsi, in attesa che i locali vengano adeguati. Per non parlare delle liste d’attesa per esami specialistici. Spesso c’è da aspettare mesi in coda. Chi può si rivolge ai privati, i meno abbienti aspettano nella speranza che i loro problemi intanto non si aggravino. E siamo all’assurdo: siccome la carenza dei posti letto è comune a tutti gli ospedali sopravvissuti nel Cosentino, i residenti dell’Alto Tirreno e quelli dell’Alto Ionio hanno trovato una soluzione: per loro è più facile farsi curare a Lagonegro e a Policoro, in Basilicata. Ciò significa che trattandosi di assistenza fuori regione la Calabria dovrà sborsare alla confinante Lucania il doppio della somma che avrebbe speso assistendo direttamente i propri pazienti. Ed è così che i conti della sanità calabrese continuano a sprofondare.
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