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Gli "amici" romani dei boss bruzi

Gli "amici" romani dei boss bruzi

«Metti su internet un attimo, Mario Baratta... per i recuperi». Roma, giugno 2014: in un autosalone non molto distante dal carcere di Rebibbia c’è fermento. A parlare col titolare è un uomo dell’hinterland cosentino che da anni lavora nella Capitale. Vanta amicizie criminali importanti il calabrese, un 45enne che avrebbe offerto supporto a quello che la Guardia di finanza romana ritiene la “mente” d’una organizzazione dedita soprattutto a usura ed estorsioni. Le ricerche sul web vanno avanti e il cosentino sembra compiacersi del passato giudiziario di Baratta, personaggio di spicco della vecchia ’ndrangheta cosentina. Il titolare dell’autosalone, Alessandro Presutti – arrestato ieri dal Gico di Roma insieme ad altre 19 persone – legge con attenzione le notizie comparse sullo schermo del pc ed esclama: «Un killer». Il massimo, secondo gl’inquirenti, per recuperare il denaro prestato a “strozzo”.

Passa appena qualche minuto e Mario Baratta compare nell’autosalone. Al suo fianco c’è Maurizio Rango, oggi al 41 bis, l’uomo che negli ultimi anni avrebbe retto le sorti della ’ndrangheta cosentina. Due generazioni differenti della criminalità organizzata cittadina, per una volta insieme ma a debita distanza dalle rive del Crati.

Presutti è comunque curioso dei trascorsi giudiziari di Baratta e fa domande sulla sua esperienza brasiliana e sulle differenze con l’Italia. Baratta replica subito con spiccato accento cosentino: «Qua c’è una legge di merda! Ormai con questo fatto dei pentiti no! A me mi hanno fatto arrestare i pentiti! Non è che mi hanno mai preso a fare qualcosa». Il discorso sulla giustizia si esaurisce scivolando poi sui presunti affari da mettere in piedi. Presutti, almeno secondo la ricostruzione della Procura di Roma, vuole affidare a Baratta il compito di recuperare i suoi crediti. Il cosentino pare essere d’accordo: «Risultiamo che noi siamo soci... Mi dai soldi, capito?», sussurra inconsapevole dei microfoni nascosti piazzati nell’autosalone dai finanzieri.

Le fiamme gialle decidono quindi di mettere sotto controllo il telefonino di Baratta. Qualche contenuto d’interesse investigativo spunta fuori nei mesi successivi alla visita nella rivendita di veicoli di via Tiburtina. A contattare l’ex latitante è una donna disperata, a quanto pare alle prese con pesanti minacce per un debito contratto con un altro calabrese, il locrese Francesco Piromalli, anche lui finito ieri mattina in manette. «Ti prego Mario non mi abbandonare, alle 3 e 30 devo essere da lui ho tanta paura ti prego aiutami», scrive la donna in un sms. Baratta prende il telefono e tranquillizza la sua amica: «Ci vengo a parlare pure io con lui». Ed è quello che accadrà, anche se Baratta e Piromalli sembrano conoscersi bene, tanto che l’ex primula fuggita pure da un carcere brasiliano sostanzialmente diviene una sorta di garante della restituzione del prestito. «Emerge dalla conversazioni – scrive il gip romano Fabio Mostarda nell’ordinanza cautelare notificata ai diretti interessati, tra i quali comunque non compaiono né Baratta e né Rango – come il Baratta Mario, nonostante la sua indubbia caratura criminale di soggetto implicato in molteplici omicidi maturati in ambiente ’ndranghetista, si approcci al Piromalli sempre con molta cautela e rispetto».

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