“Santa Rita”, più che un quartiere, è un grumo di residenze ordinate in mezzo alla campagna di Montalto Uffugo. Un pezzo di città che sembra lontano, nascosto, incastrato nel verde degli orti coltivati a schiera che si perdono oltre il cavalcavia della Salerno-Reggio Calabria. Il sentiero che si stacca dalla Statale scende fino ai confini dell’orrore dove improvvisamente sembra restringersi davanti a un villaggio di case sparse con tanta gente e tante macchine dei carabinieri parcheggiate. Proprio in quel borgo è appena fiorita una trama agghiacciante, un racconto senza senso di un omicidio-suicidio in famiglia. Ma per calarsi negli abissi di questa storia, nutrita da un conflitto oscuro, bisogna cominciare dalla fine, da quel lamento che è risalito improvvisamente, ieri mattina, intorno alle 10, da una villetta bianca, riempiendo d’angoscia tutta Montalto. È lo strazio di una figlia disperata, che urla e piange, prigioniera di un incubo. «Mamma, papà, rispondete, vi prego...». Quei due corpi distesi sul pavimento del bagno, in mezzo agli schizzi di sangue, sono i resti di una coppia apparentemente felice. Grida il suo dolore la diciottenne, davanti a quella carneficina. Telefona ai carabinieri per chiedere aiuto e il primo a raggiungerla è il comandante della Stazione dell’Arma di Montalto, il luogotenente Pierluigi Danielli. La giovane gli corre incontro, ancora sotto choc. È disperata e cerca di riannodare le fila di quella storia familiare esplosa nella strage: «Sono lì, di sopra. Lui le ha sparato, poi s’è ucciso...». Una sciagura. Mariagrazia Russo, casalinga quarantottenne è già morta, trapassata da almeno tre colpi di pistola. Giovanni Petrasso, agente della polizia penitenziaria cinquantatreenne, respira ancora, nonostante il foro di proiettile alla tempia. La sua mano vibra ancora stretta intorno alla rivoltella. Danielli lo disarma e chiede l’intervento dell’elicottero del 118 da Cosenza. Un tentativo inutile perchè la vita di Giovanni è già finita. I sanitari riescono solo ad accertarne il decesso. Morto lui, morta la moglie. Una famiglia-modello distrutta, cancellata per sempre dalla follia fermentata dentro un rapporto di coppia che avrebbe cominciato a vacillare un anno fa. Mariagrazia sospettava che Giovanni avesse un’altra. Avevano litigato e litigavano ancora per quel dubbio mai realmente accertato. L’altalena sentimentale sarebbe stata, secondo gl’inquirenti, incubatrice della tragedia. Ma nella ricostruzione investigativa dell’omicidio-suicidio un ruolo dominante occuperebbero pure le condizioni psico-fisiche dell’uomo. Prestava servizio nel carcere di Cosenza ma da tempo era in congedo per un malessere oscuro che gli provocava stress. Stati d’ansia che lo avrebbero portato a confrontarsi spesso con la compagna. Discussioni sul nulla e riappacificazioni. Un elastico emotivo che s’è spezzato all’improvviso ieri mattina. Eppure, martedì sera la coppia aveva partecipato in allegria a una festa a casa di amici del quartiere. «Sembravano sereni, hanno riso e scherzato, come sempre. Impossibile immaginare quello che sarebbe accaduto a distanza di poche ore», raccontano i testimoni. Un’armonia che s’è infranta ieri quando Giovanni e Mariagrazia, praticamente dopo il caffè, avrebbero cominciato a rinfacciarsi le solite cose. Solite cose che non avevano impensierito la figlia che aveva continuato a studiare sui libri per gli orali dell’esame di stato in un liceo di Rende da sostenere dopodomani. La ragazza li ha sentiti gridare e, poi, ha sentito il silenzio, la calma. Passata la tempesta la mamma ha parlato al telefono con un’amica per pianificare la serata a un saggio di danza. Quindi è andata in bagno, per darsi una rinfrescata sotto la doccia. A quel punto, però, era già cominciata la discesa negli inferi di Giovanni, a contatto con le corde della mente che hanno innescato l’impulso di ammazzare la sua donna. L’uomo, dopo aver impugnato la pistola d’ordinanza, una “Beretta” 9x21, sarebbe entrato in bagno sparando tre volte contro Mariagrazia. Alla testa, al petto e all’addome. Tre colpi, tutti a segno. Tre colpi uditi dalla figlia che è corsa subito in bagno. La ragazza ha intravisto la sagoma della madre distesa sul pavimento e il padre ancora in piedi con la pistola in mano: «Tornatene nella tua stanza, vai a studiare. Alla mamma ci penso io...». La ragazza è tornata indietro, in preda allo spavento. Ha udito un altro colpo di pistola, il quarto. E in bagno ha trovato anche suo padre in fin di vita. A quel punto, ha lanciato l’allarme.
L’inchiesta non è ancora chiusa. Serviranno altre certezze che probabilmente arriveranno dall’autopsia che il professor Berardo Cavalcanti, oggi, effettuerà sui resti mortali della coppia. È stato il pm Antonio Tridico a disporre l’accertamento tecnico dopo aver interrogato la testimone. Una indagine scientifica che dovrebbe servire a ricollocare tutti i frammenti di questa vicenda al posto giusto. L’ultima traccia da esplorare è la pistola. Un’arma che l’amministrazione aveva restituito solo qualche giorno fa a Giovanni che non era ancora rientrato in servizio. Circostanza sulla quale il pm Tridico ha chiesto approfondimenti.
Le indagini sulla rivoltella
Il capitano Sebastiano Maieli dirige le indagini dei detective dell’Arma della Stazione di Montalto e dei colleghi del Norm della Compagnia di Rende. Ci sono ancora pochi aspetti da chiarire in questa trama che sembra saldamente ancorata all’ipotesi di omicidio-suicidio sbocciato all’interno di un rapporto di coppia malato. Oggi il professor Berardo Cavalcanti eseguirà l’autopsia sui corpi di Giovanni e Mariagrazia alla ricerca degli elementi che serviranno a cristallizzare il mosaico delle prove nelle mani del pm Antonio Tridico. C’è solo un aspetto che va approfondito: quello della restituzione della pistola all’agente della penitenziaria da parte dell’amministrazione pur non essendo ancora rientrato in servizio. Qualcuno aveva certificato la guarigione completa dell’uomo? E sulla base di quale criterio? Sono gli unici dubbi di una storia atroce che appare già definita.
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