Marcello Gigliotti e Francesco Lenti erano dei giovani della malavita locale, intraprendenti, svegli, ma non ancora pronti per diventare uomini d’onore. Eppure furono massacrati come due boss. I loro corpi mutilati e avvolti in coperte furono ritrovati in montagna, dopo giorni di ricerche, sotto la neve. La loro morte risale al febbraio del 1986. A quei tempi c’erano sparatorie quotidiane con gente ammazzata per strada di una Cosenza ostaggio dei clan. Le scorribande della mafia nella terra di mezzo facevano tremare, e facevano ancora più paura gli amici delle cosche, i traditori, le spie. Un’angoscia strana riempiva le giornate in quegli anni. In questura un giovane capo della Mobile, Nicola Calipari, riempiva pagine d’inchiostro dopo ogni agguato. Nella Cosenza ridotta a una sacca infetta non c’era mai un testimone disposto a parlare. Nessuno sapeva, nessuno vedeva, nessuno sentiva. E in mezzo al deserto nasceva il mito del superpoliziotto Calipari e di un manipolo di agenti dalla schiena dritta, gente che lavorava di notte e i giorno pur di capire cosa si stava rivoltando nelle viscere di Cosenza. Calipari e la sua squadra cercarono inutilmente la verità su quel duplice agguato. Ma il caso fu chiuso perchè dalle indagini non emersero spunti significativi.
Trent’anni dopo, il pm antimafia Pierpaolo Bruni ha ripescato quei faldoni dagli archivi impolverati della Dda di Catanzaro affidando alla polizia le nuove indagini. La storia di Lenti e Gigliotti è un mosaico composto grazie soprattutto alle cantate di alcuni collaboratori di giustizia, tra i quali, quello più autorevole è senza dubbio Franco Pino, il “capo dei capi” di quell’onorata società alla quale si poteva appartenere anche non essendo affiliati, proprio come quei due ragazzi massacrati. Il primo a svelare l’inganno mortale, però, è stato un altro pentito, Antonio De Rose, che prima ha raccontato tutto ma poi ha ritrattato. E così quel fascicolo è finito in archivio. Da quegli armadi però è stato recuperato a distanza di anni e i presunti responsabili portati in udienza per il processo.
Il dibattimento col rito ordinario si svolge davanti alla Corte d’assise cittadina (presidente: Giovanni Garofalo). Ieri, incalzato dal pm Donatella Donato, il sostituto commissario della Mobile, Gianfranco Gentile, che ha firmato il rapporto che costituisce il principale atto d’accusa nei confronti degli imputati, ha messo in fila i ricordi dei collaboratori, esplorando la trama nera del duplice omicidio. Lenti e Gigliotti avrebbero pagato con la vita la loro esuberanza. E così sarebbero stati invitati a un banchetto a base di carne di maiale, secondo le usanze locali. I due uscirono dal mondo tragicamente. Furono massacrati dai loro assassini e i loro cadaveri furono ritrovati sepolti sotto la neve in contrada Sant’Angelo di San Lucido, lungo un sentiero di montagna che salda la Provinciale alla Statale 107, verso Falconara. Gigliotti era stato ucciso con armi da fuoco dopo essere stato torturato. Lenti, invece, venne decapitato.
Il 27 novembre, il gup distrettuale di Catanzaro, Teresa Carè, deciderà sulle richieste di ergastolo sollecitate dalla Procura antimafia, guidata da Nicola Gratteri, nei confronti di Gianfranco Ruà e di Gianfranco Bruni – gli unici due imputati accusati del depulice omicidio di Lenti e Gigliotti che hanno scelto il rito abbreviato –. Carcere a vita nei confronti di due dei “colonnelli” della cosca che in quegli anni era guidata da Pino Davanti alla Corte d’assise cittadina, invece, prosegue il dibattimento ordinario nei confronti del pentito Franco Pino e di Francesco Patitucci. Pino ha già descritto la trama sulla quale è stata impalcata l’accusa nei suoi confronti e nei confronti degli altri imputati. Il collegio difensivo è costituito dagli avvocati Marcello Manna, Luca Acciardi, Luigi Gullo, Massimiliano Petrone e Vittorio Colosimo.
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