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La mafia resta fuori da Acheruntia

La mafia resta fuori da Acheruntia

Il volto vorace della ’ndrangheta non è quello mostrato dall’inchiesta “Acheruntia”. La sentenza del Tribunale di Cosenza (presidente: Enrico Di Dedda; a latere: Claudia Pingitore e Manuela Gallo) delimita gli scenari, fissa i paletti e, soprattutto, spezza l’architrave politico-mafioso che aveva sorretto l’impianto accusatorio. L’infezione criminale, amplificata dalle indagini, non era riconducibile a un sistema mafioso. Il verdetto rimodella inevitabilmente le tesi della Dda di Catanzaro. In cinque ore di camera di consiglio, i giudici hanno deciso due condanne e un’assoluzione nei confronti dei tre imputati che avevano scelto il processo col rito ordinario. Ma, soprattutto, il Tribunale ha cancellato nei confronti di Giuseppe Perri, Angelo Gencarelli e Giampaolo Ferraro il contestato reato associativo. Ferraro, difeso dall’avvocato Lucio Esbardo, è l’unico ad aver incassato l’assoluzione piena. Perri (che è assistito dagli avvocati Luca Acciardi e Giuseppe Manna), seppur indicato come il boss di Acri, è stato condannato a due anni per una tentata estorsione. Per aver negato il crimine, la parte offesa rischia una condanna per falsa testimonianza dopo che i giudici hanno trasmesso gli atti alla Procura. Stessa decisione è stata assunta nei confronti delle vittime delle estorsioni riconducibili ad Angelo Gencarelli (difeso dagli avvocati Antonio Quintieri e Matteo Cristiani), l’ex consigliere comunale di Acri, che è stato condannato a 10 anni di carcere. L’architrave sulla quale il pm antimafia Pierpaolo Bruni aveva impalcato l’inchiesta poggiava su intercettazioni ambientali e telefoniche, interrogatori, testimonianze raccolte dagli investigatori dell’Arma e dichiarazioni di pentiti. Uno scenario che si concentrava sulla figura di Trematerra che da assessore regionale si sarebbe impegnato a spianare la strada ad alcuni operatori economici in odor di ’ndrangheta. Uno degli imprenditori che avrebbe ricevuto vantaggi, in particolare, sarebbe stato proprio Gencarelli, che per la Dda, sarebbe stato l’elemento di congiunzione tra la cosca di Acri e le istituzioni. Una specie di “ape regina” che galleggiava tra il Comune, dove si divideva tra la carica di consigliere e quella di presidente della Commissione urbanistica, e la Regione, dove, invece, aveva trovato posto proprio nella segreteria dell’assessore all’Agricoltura.

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