Quel corpo di Barbara Indrieri, martoriato dal fuoco di una mitraglietta Uzi e rimasto per ore in bilico sulla ringhiera del balcone, è riuscito a farsi largo in mezzo alle paure di un piccolo paese del Cosentino, liberandosi dalla ragnatela delle complicità e riaffiorando dalla palude dei silenzi. Barbara venne massacrata insieme alla madre, Rosellina, in una sera di pioggia e di freddo, dentro casa, a San Lorenzo del Vallo. Quella storia tragica che indignò il mondo è la trama del processo celebrato contro i due assassini. Assassini perchè da ieri non sono più presunti. La Cassazione ha seppellito definitivamente le loro speranze mandando in giudicato la sentenza di condanna all’ergastolo nei loro confronti, pronunciata in primo grado e ribadita in appello. Dunque, anche per la Suprema Corte, quella maledettissima sera del 16 febbraio di sei anni fa, Domenico Scarola, 33 anni, di Tarsia, e Salvatore Francesco Scorza, 37, di Castrovillari entrarono nell’abitazione popolare dei De Marco seminando la morte. Spararono all’impazzata, fecero fuoco sfondando la porta. Volevano uccidere e il primo obiettivo fu Sylas, il figlio di Rosellina. Il ragazzo venne ferito, ma non ucciso. Prevalse il rispetto per l’amicizia, perchè fuori erano tutti amici. Le due donne, invece, furono massacrate. La più giovane morì sulla ringhiera del balcone. La madre, invece, rimase sul pavimento con il volto sfregiato dalle pallottole, distesa in una pozza di sangue. Un orrore che fece sudare di paura un intero territorio. Una strage ispirata dalla ’ndrangheta più famelica, che guardava dentro alle famiglie. A due famiglie in particolare, i De Marco e i Presta, sprofondate nella faida. Le due donne pagarono con la vita la follia di un parente, Aldo De Marco, il cognato di Rosellina. E, sempre per questo, il 9 di aprile, sarà giustiziato per strada, anche il fratello di Aldo, Gaetano De Marco, marito di Rosellina e padre di Barbara, che la sera della strage era su un letto, anestetizzato dall’alcol. Anche Gaetano non aveva colpe sue, era un brav’uomo. Il suo unico problema, piuttosto, era il fratello Aldo, irascibile e violento, che tre mesi prima, a Spezzano Albanese, aveva ucciso un ragazzo, per un parcheggio. Un gesto d’ira che generò la vendetta. Quel giovane assassinato da De Marco si chiamava Domenico Presta, aveva solo 22 anni, e, soprattutto, era il figlio di un uomo importante della malavita organizzata cosentina, uno dei baroni della ’ndrangheta, Franco Presta, un boss potente che da anni viveva da fantasma per sottrarsi alla cattura. L’ombra della vendetta è stata la strada maestra percorsa sin dalle prime ore dalla Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore Nicola Gratteri. Una indagine perfetta dell’“aggiunto” Vincenzo Luberto, servita a placare l’ansia di giustizia di un’intera regione. Per più di un anno la gente è rimasta prigioniera di una forza inesauribile che respirava angoscia, rabbia, soprusi, umiliazioni, oblio. Poi la svolta, grazie al racconto del teste oculare. Sylas De Marco, sopravvissuto alla faida, è diventato la chiave per arrivare a Scarola e a Scorza, inchiodati al ruolo di spietati sicari. Per un anno, ha tenuto la bocca chiusa, soffrendo in silenzio per quei lutti che, in due mesi, avevano cancellato la sua famiglia. Ma dopo la cattura di Franco Presta ha deciso di parlare, di raccontare come furono uccise la madre e la sorella e, soprattutto, a incolpare quelli che un tempo erano stati dei buoni amici.
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