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Non può permettersi il regalo alla maestra, picchiata e insultata

Non può permettersi il regalo alla maestra, picchiata e insultata

Stringe tra le mani il disegno della figlia. La matita per nulla incerta disegna ciò che gli occhi della bambina non riescono a dimenticare e che la donna ha denunciato nei giorni scorsi ai poliziotti della questura cittadina che ovviamente hanno avviato un iter investigativo sul delicato caso.

I capelli ribelli faticano a stare nel cappuccio nero con cui si è coperta la testa, chiede di essere tutelata, è una madre sola, la voce tremante racconta di essere stata «spintonata e schiaffeggiata dalle mamme delle compagne di classe della piccola perchè – aggiunge – non avevo i soldi per fare il regalo alla maestra. Ho spiegato che in quel momento avevo delle difficoltà, avevo avuto problemi di salute, ma hanno risposto che neanche loro avevano i soldi e che facevano i salti mortali, poi hanno cominciato a spingermi e a pizzicarmi le braccia. Cose spaventose», racconta la mamma proseguendo una narrazione difficile anche da raccontare.

«Mi hanno chiamata: brutta straniera, morta di fame, mi hanno detto di non dimenticare dove mi trovo e di tornare da dove sono venuta».

Lo sguardo di chi non ha perso il coraggio di lottare contro l'ingiustizia, le mani nervose tradiscono la paura.

«Sono preoccupata per mia figlia. Mi rendo conto della realtà che vivo, di ciò che può succedere». Ma è convinta di stare facendo ciò che è giusto. Che tacere non era giusto, oltre che dignitoso.

«Se ognuno sta in silenzio, l’omertà fa crescere le cose cattive, è come un tumore. Se tutti facciamo così dove arriveremo», si chieda la giovane mamma che mostra il volto senza trucco. È segnato da rughe d’espressione narrano sì sacrifici ma anche e soprattutto dignità oltre che coraggio.

La donna è in Italia ormai da più di quindici anni e lavora onestamente – ci tiene a sottolinearlo – anche se in maniera precaria. Un lieve rossore le permea le guance quando ammette che lei e sua figlia «sopravvivono».

Non si è mai lamentata, nessuna fatica le è mai sembrata troppo pesante o non dignitosa pur di riuscire a portare a casa il necessario. O quasi. L’ultimo sopruso, però, non riesce proprio a tollerarlo, a farle capire che non poteva subire ancora è stato quello schizzo sul diario della figlia.

«Chiedo aiuto – dice – alla società cosentina. Il mio grido, il grido del mio cuore è l’invito a non essere indifferenti. L’indifferenza uccide le persone. Quello che è accaduto a me può succedere ad altri».

Non può rimanere un fatto privato, «non lo è», ripete. Intanto conserva con cura la copia della denuncia presentata alla polizia e il foglio di quaderno con la calligrafia della sua piccola. Una donna e una bambina che silenziosamente chiedono di non essere lasciate da sole.

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