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Caccia agli assassini di Bergamini

morte Bergamini

Adesso la tonalità del giallo è meno intensa e lascia trasparire altri colori, altre figure. Adesso in quel teatro, che per ventott’anni ha rappresentato la morte di Denis Bergamini, iniziano a stagliarsi nuove sagome e circostanze più o meno inedite. Le indagini autoptiche sul cadavere del calciatore hanno cambiato il senso, la lettura, a quella fotografia in cui è ritratto a terra, scomposto, davanti a un vecchio tir rosso fermo sulla Statale 106 nel territorio di Roseto Capo Spulico. Le risultanze dei periti hanno stravolto l’interpretazione di quell’immagine che per oltre vent’anni è transitata sulle scrivanie dei cronisti e dei magistrati, oltre che degli avvocati della famiglia che non ha mai creduto alla tesi del suicidio. Quella fotografia oggi, alla luce dell’incidente probatorio celebrato nei giorni scorsi nel tribunale di Castrovillari, racconta un’altra storia: pone altre domande. Bisognerà frugare dietro le quinte di quella rappresentazione anomala per riscrivere il copione verosimile di tutta la vicenda. Bisognerà ripartire dal pomeriggio del 18 novembre del 1989: dal momento esatto in cui il calciatore, allora ventottenne, s’allontanò, alla chetichella, dal cinema Garden di Rende, dove con i suoi compagni di squadra stava trascorrendo qualche ora di relax alla vigilia d’una partita importante. Cos’ha determinato quella fuga, atteso che Berrgamini è ricordato dai compagni come uno ligio al dovere: un professionista che non era solito concedersi distrazioni. Chi c’era ad attenderlo fuori dal cinema. E cos’è successo prima di ritrovarlo cadavere sotto la pioggia che quel sabato irrorava la Statale 106. L’unica certezza è che Bergamini è stato ucciso. Dalle risultanze dei periti emerge in modo (pressoché) inequivocabile che la morte è stata provocata dal soffocamento avvenuto con l’uso di una sciarpa o d’un sacchetto di nylon. Una roba affatto facile. A voler escludere la circostanza che il calciatore rossoblù si sia offerto volontariamente alle sevizie del suo assassino ci sarebbe da presumere che l’operazione non sia stata agevole. Difficile credere che abbia agito una sola persona. Bergamini aveva ventott’anni, una preparazione atletica invidiabile e, si presume, un vigore fisico da poter affrontare una colluttazione e avere la meglio. Un solo uomo, quindi, (a patto che il calciatore non fosse stato tramortito a tradimento) avrebbe avuto difficoltà a soffocarlo con una sciarpa: ci si figuri, poi, infilargli un sacchetto di nylon sulla testa. Un’ipotesi, quella che esclude l’azione d’una sola persona, applicabile, per molti versi, anche alla messinscena del delitto. Bisognerà riscrivere il copione e assegnare le parti, quindi. E soprattutto sarà necessario tratteggiare la trama, scrutare l’ordito di quei fili invisibili che si perdono nel passato. Sarà necessario, insomma, trovare il movente: cos’ha scatenato l’omicidio del calciatore? Si può credere alla pista passionale, al delitto d’onore per lavare l’onta d’un aborto, quello dell’ex fidanzata dell’epoca? O c’è dell’altro, nascosto dietro le quinte della rappresentazione in chiaroscuro a cui il capo dei pm della Procura di Castrovillari, Eugenio Facciolla, sta tentando di dare il giusto colore. Adesso che tutto è più nitido si cercano esecutori e mandanti per troppi anni rimasti nell’ombra.

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