La voglia d’uccidere di un omicida seriale. Di un assassino feroce e spietato, autore di quattro delitti compiuti, tra il 92 e il 97, nell’Alto Tirreno cosentino. Francesco Passalacqua è l’unico serial killer della storia criminale calabrese del Dopoguerra. Un uomo che ammazzava per “ gusto”, senza motivo. I corpi straziati delle vittime ne placavano la furia: si “raffreddava” e poi riprendeva a colpire. Agiva nelle campagne accarezzate dal salmastro del mare, scegliendo a caso le persone da eliminare.
Quando comparve in Assise, a Cosenza, sembrava portare le stigmate del male nel volto e nel fisico. Silenzioso come un lupo, sguardo torvo, collo taurino, lanciava dalla gabbia occhiate d’odio alla Corte che lo stava giudicando. Nulla sembrava tuttavia scalfirlo: con le mani aggrappate alle sbarre osservava con occhi mobilissimi i movimenti di magistrati, avvocati e giornalisti come i felini fanno con le prede. Parlava a denti stretti nelle poche occasioni in cui era costretto a farlo, come se fosse un ominide. Sapeva di non avere speranze ma non mostrava segni di cedimento. Nulla di nulla. Gli indizi raccolti dai carabinieri, l’andamento dell’istruttoria dibattimentale, la cura con cui il pubblico ministero, Franco Greco, aveva costruito la ragnatela di accuse non gli diedero scampo: nel maggio del 2000 venne condannato all’ergastolo. E il verdetto passò successivamente in giudicato.
Il caso umano e criminale di Passalacqua sembrò essere archiviato per sempre dietro i muri invalicabili dei penitenziari in cui sarebbe stato destinato a rimanere per il resto della vita. Con lui sarebbe rimasto imprigionato pure il demone che l’aveva lungamente posseduto e l’espiazione della pena avrebbe forse funzionato come un tardivo esorcismo.
Non è stato così. Dopo aver trascorso più di vent’anni in carcere, Francesco Passalacqua, godendo degli sconti di pena accordati dalla normativa vigente, è tornato in libertà e si è stabilito a Vergato, ospite di una comunità di accoglienza. In provincia di Bologna nessuno sapeva chi fosse realmente. L’hanno scoperto la mattina del quattro gennaio scorso, quando ha preso a coltellate un ignaro contadino di 65 anni che stava dando da mangiare agli animali che alleva insieme alla moglie. Il serial killer, l’ha colpito all’addome e a un braccio. La vittima è riuscita a strappargli una catenina con Crocifisso che portava al collo prima che si desse alla fuga. Alle maglie della catenina sono rimasti impigliati dei peli rivelatisi determinanti per smascherarlo. L’esame comparativo del dna e le immagini girate dalle telecamere di videosorveglianza installate nella zona, hanno consentito ai carabinieri di identificarlo compiutamente. Il contadino è riuscito a rientrare a casa e allertare il 118: è stato soccorso e ricoverato nell’ospedale di Maggiore del capoluogo felsineo. Se non avesse reagito con veemenza sarebbe stato ucciso. Diversi testimoni, sentiti dagli investigatori, hanno rivelato che da giorni vedevano Passalacqua girare in bicicletta per le campagne della frazione “Tolè”: probabilmente era alla ricerca della “preda” da sopprimere. Di più. Magistrati e militari dell’Arma stanno verificando se, negli ultimi mesi, vi siano state nel Bolognese altre morti violente rimaste senza colpevoli.
Già, perché Passalacqua, in meno di un mese, 27 anni fa, ammazzò tre incolpevoli agricoltori nell’Alto Tirreno cosentino. Si chiamavano Salvatore Belmonte, 59 anni, Francesco Picarelli, 63 e Vito Resia, 72. Vennero assassinati con identiche modalità tra l’aprile e il marzo del ‘97. Il serial killer, in preda al furore, fracassò loro il cranio. Così come aveva già fatto, nell’aprile del '92, con un autista di Scalea, Mario Montaspro, che gli era amico. Fu lo stesso Passalacqua a confessare al pm Francesco Greco, tutti gli agghiaccianti particolari dei crimini compiuti. Il magistrato della procura di Paola era riuscito a trovare l’arma con cui l'omicida seriale aveva spappolato la testa delle tre vittime. Il movente dei delitti? Nessuno, in particolare. Passalacqua agiva in preda alle sue oscure pulsioni. Uccideva selvaggiamente e poi s'impossessava dei pochi beni degli uccisi. Sfogata la sete di sangue, dopo aver seminato tracce e indizi d’ogni genere, tornava a essere un balordo di provincia. I carabinieri di Scalea cominciarono a dargli la “caccia” già pochi giorni dopo l'ultimo assassinio. Passalacqua si tradì compiendo una leggerezza. Offrì infatti agli inquirenti un alibi non riscontrabile. La Procura fiutò l'inganno e decise di non dargli tregua. Finì con un ordine d'arresto emesso nel novembre del 97. La storia dell'inchiesta fu contrassegnata da colpi di scena. Ecco la ricostruzione di tutte le fasi investigative, fatta all’epoca dal nostro giornale, che permisero di risalire all’omicida seriale.
Il 16 marzo del 1997 viene rinvenuto, nelle campagne di Santa Maria del Cedro, il cadavere di Salvatore Belmonte, 59 anni. L'agricoltore ha il cranio fracassato. Qualcuno l’ha aggredito impossessandosi di pochi soldi. L’inchiesta non porta ad alcun risultato. Il 15 aprile nelle campagne di Verbicaro, in contrada Vaccaro, viene trovato il corpo senza vita del pastore Francesco Picarelli, di 63 anni. Presenta ampie ferite alla testa. La macabra scoperta viene fatta dalla moglie dell’ucciso. Il pastore è stato assassinato con due colpi di pistola. Uno sparato a bruciapelo alla tempia, l’altro dritto al cuore. E mentre il giudice inquirente sta leggendo la relazione dell’anatomo-patologo arriva la notizia del rinvenimento di un terzo cadavere. Questa volta la vittima è stata ammazzata in località Iardino di Verbicaro. Si chiama Vito Resia, pastore, di 72 anni. Tre colpi di pistola gli hanno devastato il volto. Ripartono le indagini. Da un colloquio telefonico registrato dagli investigatori, salta fuori il nome di Passalacqua. Qualcuno l’ha visto nella zona di uno dei delitti. Il sospettato, nel 1992, ha già ucciso barbaramente un suo amico, Mauro Montaspro, per rapinarlo. Dal fascicolo risulta che gli ha spappolato la testa. Il delitto è avvenuto a Scalea, a pochi chilometri da Verbicaro e Santa Maria del Cedro. I sospetti aumentano quando in casa del padre del serial killer, i carabinieri trovano una pistola dello stesso calibro di quella utilizzata per compiere gli ultimi due omicidi. Il quattro settembre, intanto, Francesco Passalacqua finisce in manette per il furto di alcuni animali. E il ciclo di morti violente s'interrompe per sempre. Pochi mesi dopo confesserà tutti i suoi crimini.
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