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Primavera del Cinema di Cosenza, Martone: "I festival sono importanti"

Il regista e sceneggiatore napoletano alla serata finale. Il premio “Federico II” va ad Alessandro Borghi per “Le otto montagne” . Sul palco del Rendano a Cosenza parata di stelle del grande schermo

La magia del cinema ha incantato Cosenza. Ieri sera, al teatro di tradizione Alfonso Rendano un red carpet con tante stelle del grande schermo hanno chiuso in grande stile la decima edizione della “Primavera del Cinema Italiano – Premio Federico II”.

Sostenuta dalla Calabria Film Commission, nell’ambito del progetto “Bella come il Cinema”, e accompagnata “per mano” da Pino Citrigno, presidente dell’Anec Calabria, la kermesse si è regalata un salotto pieno di ospiti davvero importanti. Sostenuti dal pubblico delle grandi occasioni. La guest star Alessandro Borghi ha ricevuto il premio Federico II per il film “Le otto montagne”, ideato da Citrigno e dal direttore artistico del Festival Massimo Galimberti. Borghi è uno degli attori più richiesti e amati del panorama italiano e non solo, visto che grazie alla serie tv “Diavoli”, produzione internazionale, è riuscito a farsi apprezzare anche fuori dai confini patri. Insieme con lui, sono intervenuti altri grandi attori come Edoardo Leo, protagonista di “L’ordine del tempo” di Liliana Cavani, Francesco Di Leva, Lodo Guenzi, Giulia Andò, e i registi Roberto Andò, Vincenzo Pirrotta, Alessandro Grande e Mario Martone. Insomma, un parterre davvero eccezionale che ha dato lustro e ha chiuso la kermesse dedicata al cinema nostrano in maniera entusiasmante.

Poco prima che iniziasse lo spettacolo, abbiamo incontrato uno degli ospiti più attesi, Mario Martone, regista e sceneggiatore napoletano. La sua pellicola, “Nostalgia”, che vede come attori Pierfrancesco Favino e Francesco Di Leva – anch’esso presente ieri sera a Cosenza – è stata proiettata qualche giorno fa nell’ambito della Primavera del Cinema. Inoltre, è sempre di Martone, il bellissimo “Laggiù qualcuno mi ama” docufilm su Massimo Troisi che ci ha regalato un profilo autentico dell’artista partenopeo, attraverso frammenti e testimonianze che hanno il gran pregio di non essere banalmente celebrative o nostalgiche, ma di scavare a fondo per mettere a nudo l’animo truffautiano di Troisi. Il paragone all’Antoine Doinel di François Truffaut calza a meraviglia sulla “poetica” del ragazzo di San Giorgio a Cremano esattamente come quella maschera che l’attore Troisi ha costruito sulle debolezze del Troisi uomo, aumentandone il peso, la portata.

In “Laggiù qualcuno mi ama”, il paragone con l’Antoine Doinel di Truffaut dà l’incipit al film, ma mi è sembrato di cogliere fosse una mera collocazione letterario-cinematografica, perché Troisi non è facilmente catalogabile, come poi si evince dal resto della pellicola…

«Sì, ma l’incipit è nato pensando al fatto che da ragazzi in pochi lo pensavamo come il nostro regista nouvelle vague per tante ragioni. Quindi girando un documentario su Massimo Troisi, dopo tanti anni, è stato bello partire da quella suggestione. E poi naturalmente, il suo universo era articolato e complesso, e ho provato a raccontarlo con amore».
«Non racconto lo spazio, ma l’umano. Napoli è il luogo che conosco meglio e che uso per raccontare le mie storie».

Ricordando Troisi e la sua dichiarata e disincantata guerra a pizza e mandolino, ma quant’è difficile raccontare Napoli senza cadere nei cliché?

«Napoli è una grande città. E in questa sua grandezza, naturalmente, diventa molto facile non cadere nei cliché. La ricetta penso sia racchiusa nello sguardo. Basta avere lo sguardo giusto. Eppoi, a volte, sono divertenti anche i cliché. È divertente poterli usare. Non abbiamo niente contro la pizza e i mandolini».

“Nostalgia” è il film che è stato proiettato qui alla “Primavera del Cinema”… nostalgia è una parola che a volte rievoca fantasmi del passato, ma si può decidere di ricacciarli indietro e di continuare a vivere il presente. Felice decide di rimanere a Napoli, di non tradire il vecchio amico, di fare i conti con quel passato scomodo…

«Sicuramente questo succede con Napoli. Si ritorna all’umano che cerco dentro Napoli, quel concetto che abbiamo citato in precedenza. E si tratta di un umano universale. In questo caso, posso affermare con certezza che chiunque può sentire il tema del ritorno dopo una lunga assenza. A prescindere dalla calamita che produce una città dal carattere forte come è Napoli. Il ritorno, il passato è come un labirinto. Inizi il tuo percorso, ma se ci si volta indietro non è detto che poi si riesca a trovare la porta per uscire. Ed è proprio grazie a questa universalità del messaggio che “Nostalgia” ha avuto un grande successo internazionale».

In questi 9 giorni di kermesse cinematografica, qui a Cosenza, abbiamo rivisto le sale piene. Adesso che le piattaforme tv hanno iniziato a produrre film esclusivamente per il piccolo schermo, blockbuster americani e festival rimangono l’ultimo baluardo per riempire i cinema?

«Sì, i festival sono tutti molto importanti. Perché rappresentano momenti di aggregazione, di riflessione, di ragionamento sui film. Un bel film produce un effetto a cascata sulle sensazioni degli spettatori. Quando guardi un bel film al cinema, poi esci e ne parli con gli amici. Li incuriosisci. Anche loro vanno a guardarlo. Si creano discussioni, confronti, dialoghi. Discuti, litighi, insomma si crea un certo pathos, in qualche modo una piccola magia che è viva. E in un contesto come un festival queste emozioni sono accentuate. Ed è la cosa più bella per chi ama il cinema».

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