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"Agrumeti abusivi e detriti", ecco perché il Crati è esondato

Agrumeti abusivi nel letto del fiume, sollevamento dell’alveo a causa dei detriti che causano un relativo abbassamento degli argini e condizioni precarie degli stessi derivate dalla scarsa manutenzione. Sarebbero queste tre concause ad aver originato la rottura dell’argine destro del Crati che ha riversato, nelle scorse settimane, decine di metri cubi d’acqua sulle contrade di Thurio e Ministalla distruggendo case, raccolti e greggi.

È quanto trapela dalla relazione commissionata dalla Procura della Repubblica di Castrovillari – diretta dal capo dei pubblici ministeri Eugenio Facciolla – per fare piena luce sulle che cause che hanno portato alla tragica alluvione del 28 novembre. Dallo studio emergerebbe tutta l'area compresa tra i due argini (destro e sinistro) dovrebbe essere area golenale, cioè lo spazio piano compreso tra la riva di un corso d'acqua e il suo argine, della confluenza tra i fiumi Crati e Coscile, che dovrebbe essere libera e destinata allo scorrere delle acque, in realtà è stata interamente occupata da agrumeti.

Lo sviluppo degli agrumeti al centro della confluenza tra i due fiumi, anziché dare spazio per potere estendersi lateralmente nella sua evoluzione, ha costretto il Crati a spostarsi progressivamente verso sud-sud est fino a toccare, erodere e a portare al collasso l'argine.

Altra concausa dipenderebbe dal fatto che dall'epoca dell'arginatura del fiume Crati, risalente intorno al 1930, l'avvicendarsi dei vari eventi di piena ha determinato il deposito di vari strati dei detriti trasportati dalle acque del fiume.

Un deposito con conseguente stratificazione di vari livelli di detrito alluvionale ha determinato, nell'area in esame, un sollevamento progressivo dell'alveo di piena (area golenale) e di magra (alveo attivo) del Crati, rispetto sia agli argini che ai terreni circostanti.

Queste condizioni hanno portato alla formazione di un alveo “pensile”, il cui strato alluvionale ha quasi completamente colmato l'area compresa tra gli argini, riducendo sensibilmente l'altezza relativa degli argini stessi rispetto all'alveo, che in alcuni tratti risulta inferiore al metro e mezzo.

Gli eventi di piena che hanno interessano il tratto di Crati, infine, allo stato attuale sono contrastati da argini artificiali che, oltre ad essere sempre più insufficienti in altezza per contenere piene significative, sono fatiscenti, essendo stati realizzati intorno al 1930 in terra battuta, cioè con materiali scadenti, erodibili e poco resistenti.

Gli argini, infatti, sarebbero ulteriormente indeboliti dalla presenza di una folta vegetazione spontanea, spesso impenetrabile, rappresentata da roveti ed alberi ad alto fusto che avvolgono ampi tratti di argine.

Gli alberi, per effetto dell'azione dell’acqua e dell'inclinazione dell'argine, spesso tendono ad inclinarsi fino a ribaltarsi favorendo la formazione di falle negli argini, più o meno ampie in funzione delle dimensioni degli alberi e, quindi, della profondità dell'apparato radicale. Un indebolimento favorito dall'azione anche di roditori come le nutrie che scavano grossi fori nelle sponde di terra.

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