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Cosenza, pronto a confessare duplice delitto dopo 34 anni: una vittima fu decapitata

Un sopralluogo subito dopo l'omicidio

Un segreto inconfessabile. Tenuto nascosto per trentaquattro anni. Nel marzo del 1986 vengono assassinati due giovani criminali cosentini: si chiamano Francesco Lenti e Marcello Gigliotti. Per farli cadere in trappola gli ‘ndranghetisti li invitano a un pranzo a base di maiale in un casa di Rende.

Arrivati sul posto, Lenti viene addirittura decapitato con una falce per impressionare l’altro e indurlo a parlare. Gli assassini – così racconteranno successivamente i pentiti  – vogliono indurre Gigliotti a rivelare dove custodisce delle audiocassette sulle quali ha clandestinamente registrato colloqui compromettenti riguardanti le attività criminali compiute dalla cosca guidata da Franco Pino e Antonio Sena. Il giovane, che tenterà di salvarsi indicando un nascondiglio che risulterà però vuoto, sarà poi assassinato a colpi di fucile  e abbandonato insieme al complice sulle montagne di Falconara Albanese.

Del duplice omicidio parleranno tre collaboratori di giustizia: Roberto Pagano che fornì l’arma per ammazzare Gigliotti; Antonio De Rose, amico degli uccisi, che deciderà di parlare per timore di fare la stessa fine; e Franco Pino, il capo del clan. E proprio il capomafia pentito ha fornito in aula molti particolari sul fatto di sangue.

«Il primo ad essere assassinato fu Lenti colpito con due fucilate a sangue freddo e poi decapitato. Fu il modo» ha detto l’ex boss «per indurre Gigliotti a parlare, a indicare il luogo dove nascondeva le audiocassette sulle quali aveva registrato clandestinamente tanti colloqui inerenti i programmi criminosi della cosca avuti con i sodali. L’uomo terrorizzato indicò come nascondiglio la tana di una volpe posta in territorio di Rende dove poi non trovammo niente. Marcello venne quindi invitato a salire a bordo della sua Fiat Ritmo blu, su cui era stato intanto trasportato il cadavere di Lenti e portato nella zona di Falconara dove fu ucciso a colpi di fucile. L’auto venne data alle fiamme».

Secondo Franco Pino gli uomini della sua ‘ndrina ritenevano Marcello Gigliotti «inaffidabile» perché in precedenza s’era addirittura messo in testa di ammazzare il boss Antonio Sena ed aveva pure ucciso per gelosia un coetaneo, Francesco Salerni e anche un dipendente comunale di Cosenza, Sergio Palmieri.

Per il duplice omicidio Lenti-Gigliotti sono già stati condannati a trent’anni di reclusione, in primo grado, con il rito abbreviato, Gianfranco Bruni e Gianfranco Ruà, storici sodali del capocosca pentito. I due stanno ora affrontando il processo di appello, a Catanzaro. E qui viene il bello. Perchè Bruni, che sta già scontando l’ergastolo per un altro delitto, ha deciso di confessare, di raccontare cosa avvenne quel giorno e probabilmente di autoaccusarsi della esecuzione.

La circostanza si è appresa ieri in Assise, a Cosenza, dove sono imputati con rito ordinario per il medesimo duplice omicidio Franco Pino, Roberto Pagano e Francesco Patitucci, al tempo dei fatti tutti appartenenti alla stessa consorteria. Perplesso il procuratore Camillo Falvo che sostiene l’accusa in dibattimento: «Ho già visto queste cose in altri processi: qualcuno si addossa la responsabilità per scagionare altri». Potrebbe essere. Ma una confessione, resa trentaquattro anni dopo, fa comunque sempre un grande effetto.

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