Adesso sono circa ottanta i feretri che attendono di trovare un ricovero nella cittadella dei morti di Colle Mussano. Stanno lì, nell'obitorio, messe più o meno allineate, tutte quelle bare contenenti i resti d'una popolazione che sperava, almeno in questa nuova vita, di trovare pace. Stanno lì, quelle casse di legno con l'anima di zinco, accatastate su tre livelli, anche se fra un po' gli spazi, già di per sé angusti, non basteranno a contenerne altre: l'idea d'una fossa comune (o d'una cremazione collettiva) sarebbe un azzardo ma a continuare di questo passo non sembrerebbe, poi, un'ipotesi remota. Uno spettacolo desolante, insomma. Che lascia intravvedere - neanche tanto in filigrana - la cosiddetta «buona» amministrazione di questa città straripante di piste ciclabili e parchi urbani, parcheggi a strisce blue, aree pedonali, ma scarna di loculi, di tombe o di qualsiasi altro anfratto dove sistemare alla meno peggio i defunti.
Stanno lì, insomma, in quel caos dall'odore mortifero dell'obitorio quei feretri della cui sorte interessa solo ai famigliari che son pure stanchi di sperare e quindi di protestare o cercare vie diverse - come sovente accade o così almeno si racconta - per trovare una soluzione che sia ottimale o quantomeno accettabile. Stanno lì, non possono andar più da nessuna parte, quei feretri e la loro, ormai, non è neanche un'attesa.
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