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Caporalato in Calabria, nuova inchiesta sullo sfruttamento dei migranti nella Sibaritide

Gli accertamenti degli inquirenti disposti dopo l’operazione “Demetra” contro il caporalato – le cui indagini risalgono al 2017/2018 – hanno confermato che il consolidato sistema criminoso escogitato dagli indagati è ben lungi dall'essere dismesso.

Non è un caso che siano diverse le operazioni ad essa collegate alle quali lavorando i militari della guardia di finanza del gruppo di Sibari e della tenenza di Montegiordano, i principali reparti che si occupano della lotta al caporalato nella Sibaritide. Da fonti vicine agli investigatori emerge come ci sia anche un fascicolo aperto sulla protesta scoppiata a fine aprile nel piazzale antistante le poste cittadine.

Circa una cinquantina di africani di diverse etnie (ghanesi, nigeriani, gambiani e senegalesi) decisero di dire basta ai soprusi e protestare. Si scagliarono contro i caporali e contro il sistema denunciando tutto ai sindacati e ai carabinieri per far valere le loro ragioni. Con nomi e prove.

Quest'anno le cose sono peggiorate. Dopo l’arrivo del Coronavirus per loro le cose sono cambiate in peggio. I caporali gli hanno imposto nuove regole al ribasso: 25 euro al giorno senza contratto. «Molti di noi – dicono ancora – vivono a casa con questi pakistani, siamo venti in casa. Abbiamo un solo bagno senza le condizioni igieniche minime. Ora non ce la facciamo più ed è tempo di lottare per una giusta causa perché non siamo ladri e non vendiamo droga, siamo qui per lavorare e costruire il futuro delle nostre famiglie».

E mentre in tv l’eco del presidente del Consiglio Giuseppe Conte raccontava – in pieno lockdown – di mantenere il distanziamento sociale per i prossimi giorni, loro ai carabinieri mostrano come siano costretti a viaggiare in dieci in una macchina da sei posti o in una ventina in un furgoncino che di posti ne conterrebbe soltanto la metà.

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