Il cinema, il magistrato e l’avvocato. Marco Petrini parlando dei rapporti avuti con l’avvocato Marcello Manna ha parlato della strana storia del finanziamento di un film da parte della Film Commission Calabria in favore di un regista originario di Lamezia Terme “segnalato” all’agenzia regionale da un avvocato di Cosenza su richiesta dello stesso magistrato.
Per questa ragione, nel maggio scorso, la guardia di finanza ha perquisito la sede della Film Commission all’epoca guidata dal cosentino Giuseppe Citrigno, che non non risulta indagato, acquisendo tutte le carte relative alla pellicola.
Il giudice corrotto e reo confesso ha svelato ai pubblici ministeri che fu a Manna che chiese di intercedere presso Citrigno per far ottenere al film scritto dal regista, cugino della ex moglie, un finanziamento. Le indagini sulla vicenda sarebbero ancora in corso. Manna ha sempre negato di essersi interessato di vicende cinematografiche.
Marco Petrini, assegnato agli arresti in un istituto religioso di Decollatura, è difeso dagli avvocati Francesco Calderaro e Agostino De Caro. Ai pubblici ministeri ha detto di voler continuare a «collaborare». Vedremo come.
Intanto verrà sentito per incidente probatorio nelle prossime settimane dal gip di Salerno Giovanna Pacifico. Davanti al magistrato dovrà ribadire le accuse formulate nei confronti degli avvocati Marcello Manna e Luigi Gullo, del foro di Cosenza, dai quali avrebbe ricevuto in tre tranche somme di denaro per aggiustare il processo per omicidio che vedeva imputato nel dicembre del 2019 il presunto boss di Rende e Cosenza, Francesco Patitucci. L’imputato, poi in effetti assolto, era stato condannato in primo grado a Cosenza, a 30 anni di carcere, perché accusato di aver concorso nella uccisione di Luca Bruni, reggente dell’omonimo clan cosentino, fatto fuori a pistolettate nel gennaio del 2012.
Patitucci, ritenuto dalla magistratura distrettuale un personaggio di primo piano della criminalità organizzata bruzia, è attualmente sotto giudizio per un altro terribile fatto di sangue. Nel marzo del 1986 vengono assassinati due giovani criminali cosentini: si chiamano Francesco Lenti e Marcello Gigliotti. Per farli cadere in trappola gli ‘ndranghetisti li invitano a un pranzo a base di maiale in un casa di Rende. Arrivati sul posto, Lenti viene addirittura decapitato con una falce per impressionare l’altro e indurlo a parlare.
Gli assassini – così racconteranno successivamente i pentiti – vogliono indurre Gigliotti a rivelare dove custodisce delle audiocassette sulle quali ha clandestinamente registrato colloqui compromettenti riguardanti le attività criminali compiute dalla cosca guidata da Franco Pino e Antonio Sena. Il giovane, che tenterà di salvarsi indicando un nascondiglio che risulterà però vuoto, sarà poi assassinato a colpi di fucile e abbandonato insieme al complice sulle montagne di Falconara Albanese.
Del duplice omicidio parleranno tre collaboratori di giustizia: Roberto Pagano che fornì l’arma per ammazzare Gigliotti; Antonio De Rose, amico degli uccisi, che deciderà di parlare per timore di fare la stessa fine; e Franco Pino, il capo del clan. E proprio il capomafia pentito ha fornito in aula molti particolari sul fatto di sangue. Francesco Patitucci è ritenuto dalla Dda di Catanzaro, diretta da Nicola Gratteri, l’organizzatore del pranzo trappola costato la vita alle vittime. Il boss, già condannato con sentenza definitiva per estorsione in altri processi, è difeso dagli avvocati Marcello Manna e Luigi Gullo. Il processo di primo grado è in corso davanti alla Corte di Assise di Cosenza.
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