Il dolore e la rabbia. Simona Loizzo, dirigente medico, è la moglie di Lucio Marrocco, il direttore del Dipartimento dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza, che si è tolto la vita, giovedì sera, lanciandosi dal balcone posto al quinto piano del palazzo in cui viveva con la famiglia. La donna, il volto segnato dal dolore, le occhiaie profonde, racconta alla Gazzetta la vera causa della scelta fatta dal marito.
Una scelta autodistruttiva conseguenza del grande impegno profuso negli ultimi mesi nella lotta al Covid. Marrocco era responsabile della emergenza pandemica per circa duemila persone coinvolte nelle attività ospedaliere. «Mio marito è una vittima del lavoro. Negli ultimi tre mesi trascorreva in ospedale dalle 14 alle 15 ore al giorno. Si sentiva responsabile della sicurezza del personale che gli era stato affidato. Aveva organizzato la campagna di vaccinazione, allestito i percorsi speciali, i posti covid nei reparti. Sentiva questa grande responsabilità e seguiva, uno per uno, i dipendenti. Aveva lavorato gratis per ben 1200 ore e aveva rinunciato ai fondi speciali riservati ai medici impegnati nella lotta alla pandemia. Era stanco e gli avevamo detto, con i figli, di dimettersi ma lui ci aveva risposto: “piuttosto mi uccido!”. Negli ultimi giorni era preoccupato per una operatrice sanitaria che era in fin di vita, ricoverata in terapia intensiva a Catanzaro. La conosceva e proprio quel giorno ne avevamo parlato. Mio marito non era depresso e non assumeva psicofarmaci».
Simona Loizzo non nasconde il suo dolore e la sua amarezza: «Il nostro è stato - afferma - un rapporto di grande amore, certo con una normale dialettica interna, ma un rapporto di complicità, condivisione professionale, passione per i figli». La moglie del medico lanciatosi nel vuoto sottolinea con amarezza: «Quella di Lucio è una morte bianca: lui era come un operaio posto su una impalcatura sprovvisto di imbracatura. Era a capo di una struttura che poteva contare solo su due assistenti e, pensi, adesso non gli sarà riconosciuta neppure la pensione perché lavorava solo da vent’anni». La moglie del medico morto suicida aggiunge ancora con emozione: «Mio figlio si sente tradito da lui perché è come se avesse preferito a lui, a noi, l'ospedale e la sua vita professionale. Non è così. Lucio sapeva di essere a capo di una dipartimento importante che però non era adeguatamente attrezzato. Eppure faceva di tutto per garantire al personale la massima sicurezza rispetto al Covid. Ogni dipendente dell'Azienda ospedaliera contagiato era per lui una sconfitta. Prevedeva ogni possibile cosa, era un organizzatore perfetto. Io credo che questa tragedia che ha investito la mia famiglia debba far riflettere tutti sul sistema sanitario regionale: da dieci anni, da quando è cominciato il commissariamento, tutto è peggiorato. Io ce l'ho con il sistema e penso che si debbano rivedere tante cose. Sono medico e figlia di un medico e so quello che dico. Posso anche annunciare che non mi fermerò davanti a nulla fino a quando non sarà riconosciuta alla morte di mio marito il valore di un decesso avvenuto a causa del lavoro sovrumano svolto nell'interesse della comunità ospedaliera. Non mi fermerò davanti a nessuno. Credo - conclude drammaticamente Simona Loizzo - di non essere più sicura di voler restare io stessa a prestare servizio nell'Azienda Ospedaliera».
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