La falce della morte. E i due amici uniti da un tragico destino. Francesco Lenti venne decapitato con una falce all’interno di un’abitazione di Rende nel 1986. Era stato invitato con il suo compagno di giovinezza e di “avventure”, Marcello Gigliotti, estremista di destra e aspirante mafioso dal grilletto facile, a partecipare a un pranzo a base di maiale. Si trattava di una trappola ordita dalla cosca guidata da Franco Pino e Antonio Sena per levarli di torno. Cosa accadde quel giorno è stato raccontato proprio dal superboss pentito Franco Pino e da un ex “azionista” della mafia cosentina, Roberto Pagano. Il primo è attualmente sotto processo a Cosenza per il duplice omicidio insieme con Francesco Patitucci, indicato dalla Dda di Catanzaro come punto di riferimento della ‘ndrangheta nell’area urbana di Rende; Pagano, invece, è stato condannato a 10 anni di reclusione in separata sede. Lo scorso anno, inoltre, per l’assassinio di Gigliotti e Lenti hanno già incassato una condanna a 30 anni in primo grado con il rito abbreviato gli ergastolani Gianfranco Ruà e Gianfranco Bruni, al momento del fatto di sangue affiliati alla cosca Pino-Sena. E qui viene il bello: i due imputati, dopo 34 anni di silenzio, hanno reso dichiarazioni spontanee assumendosi la responsabilità dell’efferato crimine, chiamando in causa come loro complice un ex appartenente al clan, Demetrio Amendola, a sua volta ammazzato nel 1990 a Cosenza ed escludendo, nel contempo, la responsabilità di Patitucci. Così, il 12 marzo prossimo nell’aula bunker di Roma vi sarà un confronto tra l’ex capobastone Pino e il suo antico sodale Ruà. Ed i verbali del faccia a faccia finiranno, l’otto aprile successivo, sul tavolo dei giudici d’appello che stanno valutando in secondo grado la posizione dei due rei confessi (Bruni e Ruà). È stato il sostituto procuratore generale di Catanzaro, Salvatore Di Maio, a pretenderlo non essendo per nulla convinto della versione dei fatti postuma resa da due ergastolani.