In rianimazione la vita tramonta di colpo, come il sole. In questi giorni tanti, troppi pazienti con gravi insufficienze respiratorie si sono arresi in mezzo a quelle stanze. Senza più fiato, senza più vita, senza neanche poter salutare un familiare. Hanno lasciato tutti allo stesso modo questo mondo, uccisi dal Covid dopo aver lottato giorni e, a volte, solo ore. Esistenze rimaste appese a quel numero blu sulle macchine rumorose che provano a riempire di ossigeno quei polmoni sempre più vuoti e malandati. Quel numero scende man mano che la vita si riduce, fino a sfumare. Solo in questi primi 26 giorni di febbraio, nella terapia intensiva si sono addormentate 15 delle 34 vittime censite nel Cosentino. Un numero enorme che svela il retroscena di un tracciamento pigro rispetto alla velocità di moltiplicazione del virus sul territorio. La rianimazione è l’ultimo sottile diaframma tra la vita e la morte, ma spesso la soglia di sopravvivenza si abbassa perché i pazienti arrivano già provati dalla malattia e l’ossigeno non basta più a ottenere la clemenza del morbo e allora quel rumore della macchina si trasforma in lamento che annuncia un’altra morte.
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