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Rende, il boss Patitucci resta dietro le sbarre

Confermato il provvedimento di arresto emesso dalla Corte di Assise su richiesta della Dda: è stato condannato all’ergastolo per un duplice omicidio compiuto nell’86

Francesco Patitucci

Il boss resta in carcere. Prigioniero del suo passato e della Corte di assise di Cosenza che gli ha inflitto l’ergastolo.
Il Tribunale della libertà di Catanzaro ha respinto il ricorso presentato da Francesco Patitucci, ritenuto dalla Dda di Catanzaro elemento di vertice delle cosche cosentine e rendesi. I giudici del Riesame non hanno accolto il ricorso presentato e discusso dagli avvocati Marcello Manna e Luigi Gullo avverso l’ordinanza con cui i togati d’Assise, all’indomani della condanna alla massima pena del padrino, ne avevano ordinato l’arresto. Il provvedimento restrittivo era stato emesso su richiesta del procuratore distrettuale Nicola Gratteri, dell’aggiunto Vincenzo Capomolla e del pm antimafia Vito Valerio. Le manette erano invece state strette ai polsi di Patitucci dagli investigatori della squadra mobile, diretti dal primo dirigente di Polizia, Fabio Catalano, e dal suo vice, Gianni Albano.

La condanna

L’esponente della ‘ndrangheta, già trasferito nel carcere di un’altra zona della Penisola, è stato riconosciuto, dopo 35 anni, colpevole e condannato al carcere a vita, il 16 aprile scorso, per un feroce duplice omicidio compiuto nelle campagne rendesi nel lontano febbraio del 1986. Marcello Gigliotti, neofascista con aspirazioni da boss e abile pistolero, insieme con il suo più caro amico e “compare”, Francesco Lenti, vennero invitati a partecipare a una mangiata di maiale. Il pranzo venne organizzato in un’abitazione nella disponibilità di Patitucci. Secondo i pentiti Franco Pino, Umile Arturi, Roberto Pagano (condannato già con sentenza definitiva per il fatto di sangue), Franco Garofalo e Antonio De Rose, la “mangiata” non fu organizzata per trascorrere delle ore in allegria ma per attirare in trappola Lenti e Gigliotti. Arrivati nell’abitazione di campagna, Lenti venne subito decapitato e Gigliotti successivamente seviziato e interrogato perché dicesse dove nascondeva delle audiocassette compromettenti per l’intera cosca all’epoca guidata da Franco Pino. Alla fine pure lui venne assassinato con un colpo di fucile. Per la duplice esecuzione l’Assise catanzarese (presidente Cosentino, a latere Commodaro) ha inflitto l’otto aprile scorso vent’anni di reclusione a Gianfranco Bruni e Gianfranco Ruà, riconoscendo loro le attenuanti generiche. In primo grado avevano entrambi incassato - con rito abbreviato - 30 anni dal Gup. Tra il primo e il secondo grado di giudizio, tuttavia, i due ergastolani hanno inteso confessare la loro diretta partecipazione al barbaro crimine offrendo una versione completamente diversa rispetto a quella prospettata, in circostanze e tempi differenti, dai collaboratori di giustizia. Bruni e Ruà, hanno di fatto escluso la responsabilità di Patitucci.

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