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Cosenza, picchiano i figli perché credevano vicina la fine del mondo: arrestati i genitori

L’uomo di 50 anni, ora in carcere, e la donna di 40, sottoposta all’obbligo di dimora, maltrattavano le due ragazze più grandi e i tre fratelli più piccoli

Credevano che la fine del mondo fosse, ormai, vicina e per questo picchiavano e vessavano i figli.
Sono accusati di maltrattamenti in famiglia in concorso l’uomo e la donna – rispettivamente di cinquanta e quarant’anni – arrestati dai poliziotti della squadra mobile della Questura di Cosenza diretti dal primo dirigente Fabio Catalano.

Per i cinque figli della coppia – l’uomo in passato ha, pure, avuto problemi con la giustizia – la vita era diventata un inferno. Secondo la religione dei genitori era necessario soffrire, fare penitenza, perché la fine del mondo era ormai dietro l’angolo. Era questione di settimane, si presume. Al più di qualche mese, ma l’epilogo si sarebbe verificato presto. Per questo le due ragazze un po’ più grandi, per via dei loro presunti fidanzatini, venivano picchiate con una certa costanza, mentre i tre fratellini più piccoli erano costretti al alzarsi alle 3 per lavorare nei campi.
Il lavoro, appunto. Il lavoro veniva svolto sotto un tale regime che la schiavitù poteva sembrare un momento di ricreazione in oratorio. La vita in quella famiglia – secondo quanto è stato verificato nel corso delle indagini – era diventata un vero supplizio. Le due adolescenti e i loro fratellini erano sottoposti a una sorta di penitenza corporale a cui s’aggiungevano turni di lavoro massacranti.
Condizioni, già di per sé difficili, a cui, poi, s’aggiungeva la fame e la sete. Oltre alle botte, anche la penitenza che serviva per una sorta di «purificazione» dai peccati. Per alcuni giorni le due ragazze e i tre fratellini più piccoli non potevano né bere, ci si figuri mangiare. E non potevano nemmeno lagnarsi. Perché altrimenti le avrebbero prese di brutto.

Penitenza e purificazione erano le parole chiave per la salvezza nell’altro mondo, in quella strana vita in divenire. La storia è andata avanti per un po’. Nei giorni scorsi, poi, le due adolescenti hanno chiesto aiuto al telefono “Azzurro” e da lì è partita l’opera di liberazione. Le indagini coordinate dal capo della Procura bruzia, Mario Spagnuolo, hanno consentito di verificare la genuinità del racconto che le due ragazze avevano fatto all’operatore telefonico. Non v’era più tempo da perdere. Così ieri pomeriggio i poliziotti della Mobile hanno notificato ai due genitori la misura cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari. L’uomo dopo le formalità di rito è stato trasferito nel carcere di via Popilia, mentre la donna è stata sottoposta all’obbligo di dimora a Cosenza e della presentazione alla polizia giudiziaria. Le due ragazze e i tre fratellini sono stati affidati a una casa famiglia.

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