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Operaio sepolto vivo a Rende: condanne definitive

La Corte di Cassazione spiega perché ha rigettato il ricorso avanzato dai legali di Massimino Aceto e Giovanni Regina, condannati per la morte di un operaio, Rosario Ruffolo. Il 53enne morì su un cantiere nel 2008 mentre stava lavorando nella zona industriale di Rende, a contrada Cutura. La vittima stava lavorando per la ditta “Aceto Costruzioni” che stava eseguendo uno scavo in subappalto. Un anno dopo la tragedia, l’allora pm della Procura di Cosenza, Salvatore Di Maio, aveva chiesto il processo per Massimino Aceto (amministratore unico della “Aceto costruzioni”); per Sinibaldo Salerno di Piane Crati responsabile dei lavori incaricato per tutti gli adempimenti relativi alla conduzione del cantiere per delega della ditta “Gam” (committente dei lavori) e per Giovanni Regina che era amministratore unico della “Due Erre”, impresa appaltatrice dei lavori.Nel 2016 Massimino Aceto e Giovanni Regina sono stati condannati, in primo grado, a un anno e quattro mesi di reclusione. Mentre Salerno era stato assolto. La tragica mattina era stato eseguito lo scavo e Ruffolo aveva il compito di sistemare i tubi nel fossato e di collegarli tra loro alla rete principale. Il 53enne aveva appena iniziato a collegare la condotta quando, all’improvviso, è stato travolto da una massa enorme di terreno che era stata spostata dalle ruspe. Purtroppo non ci fu nulla da fare e Ruffolo morì sepolto vivo in quella frana. Ora, a distanza di tantissimi anni dalla tragedia, si mette un punto sulla vicenda giudiziaria. Infatti, la Corte di Cassazione si è espressa sui ricorsi presentati da Aceto e Regina (difeso dall’avvocato Enzo Belvedere) che si sono opposti alla sentenza della Corte di Appello di Catanzaro del 2020. In Appello era stata confermata la sentenza di primo grado. Aceto ha presentato un «motivo di ricorso», mentre Regina due. Ma la Corte di Cassazione nel 2021 ha rigettato entrambi i ricorsi e ha condannato i due imputati al pagamento delle spese processuali. La Suprema Corte, depositando le motivazioni, ne spiega i motivi. «Compete al datore di lavoro dell’impresa che affida i lavori – spiegano gli Ermellini – vigilare sulla sicurezza dei lavori affidati e sull’applicazione delle disposizioni».

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