Il virus è ancora una minaccia per la nostra civiltà, le nostre vite, i nostri ospedali. Un pericolo che è descritto da settimane da una narrazione algebrica inquietante. A dieci giorni dalla fine (giuridica) dello stato d’emergenza, il Cosentino e, più in generale, la Calabria restano intrappolati tra le fiamme dell’infezione. Servirà altro tempo e, soprattutto, tanta applicazione nel mantenere intatte regole e abitudini sociali che da due anni, ormai, sperimentiamo (o proviamo a farlo) con immensa sofferenza. L’archiviazione della fase straordinaria di due anni di restrizioni giuridiche non potrà coincidere con la rinuncia a mascherine al chiuso e distanziamento, abitudini divenute coordinate sociali. Lo impongono gli attuali diagrammi di crescita di contagi e ricoveri. Nell’ultima settimana (quella compresa tra il 14 marzo e ieri), nel Cosentino, l’Asp ha riportato nei bollettini quotidiani un totale di 6.750 nuovi casi (solo ieri 617 con appena 3.005 tamponi) con una incidenza cumulativa di 998,34 casi per 100mila abitanti. Nei reparti ordinari, invece, si registrano 26 ricoverati in più (con una media di quasi quattro ingressi al giorno). Fortunatamente, in terapia intensiva, resta un solo paziente (uno in meno di lunedì 14). Ancora tanti i decessi: 15, con una media di oltre due al giorno. Ieri si sono arrese al virus due donne: una 85enne di Montalto e una centenaria di Cosenza. Il Covid continua a decimare medici e infermnieri nelle corsie degli ospedali. E per ogni “camice bianco” contagiato significa un aggravio di sofferenza per il personale che resta in corsia. Al “Ferrari” di Castrovillari è in corso un contact tracing nel reparto di Medicina chiuso ai ricoveri. Il contagio avrebbe colpito cinque operatori sanitari e quattro pazienti.
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