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Vicinanza all'Isis, non serve perizia per Lafsahi. ll sospettato è stato in carcere a Paola

Non serve una perizia psichiatrica su Raduan Lafsahi, marocchino di 36 anni a processo a Milano per terrorismo internazionale e istigazione a delinquere, perché avrebbe fatto «proselitismo» per l’Isis in una decina di carceri italiane, con violenze e minacce su altri detenuti, esaltando gli attentati più eclatanti, dalle Torri Gemelle a quello a Charlie Hebdo, affermando di essere un «terrorista», «che gli italiani erano dei maiali» e che li avrebbe «uccisi tutti tagliandogli la gola, cavandogli gli occhi e facendo la guerra».
La Corte d’Assise (giudici togati Ilio Mannucci Pacini e Alessandro Santangelo) ha respinto l’istanza della difesa di accertamento psichiatrico per valutare la sua capacità di intendere e volere. Difesa che aveva presentato documentazione medica nella quale si parlava di un «disturbo antisociale» del 36enne. Per i giudici i reati contestati all’imputato, tra cui la presunta partecipazione all’Isis, non hanno alcun «nesso» col sospetto disturbo di personalità.
Nell’ordinanza, emessa nell’inchiesta del pool antiterrorismo milanese guidato da Alberto Nobili e del pm Alessandro Gobbis, notificata all’uomo nel luglio 2021, quando era già in carcere di Paola (Cosenza), si leggevano le minacce da lui usate contro operatori dell’istituto penitenziario come «Allah Akbar, vi ucciderò tutti, appena esco da qua, vi taglio la testa a tutti». Avrebbe anche «istigato gli altri detenuti alla commissione di atti di violenza volti a destabilizzare la disciplina e l’ordine carcerario». Il processo andrà avanti l’11 ottobre.

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