Cos’è la sanità in Calabria? È una terra di nessuno, un filare ingarbugliato. Il Pronto soccorso dell’Annunziata, in questi giorni, è diventato il luogo simbolo della resa dello Stato. Nelle stanze affollate, l’imbarazzo è evidente. L’attesa vibra di tensioni e di rabbia in quel grande contenitore di malati e malattie con due soli medici e sei infermieri a badare a quella marea umana che si forma aspettando che si liberi un letto dentro un reparto o che arrivino le indicazioni terapeutiche. L’Obi, da mesi annunciato, non c’è ancora. E non c’è neppure il personale di potenziamento. Ci sono, però, quei tanti corpi ammassati ovunque, lo sguardo pesante e ansioso, i volti di pietra, e tanti lamenti e affanni. Code di lettini e barelle con malati in attesa del responso del tampone e di un ricovero. Uomini e donne insieme, senza privacy, senza distanza, con mali diversi, respiri, rantoli, affanni.
Corsi e ricorsi
Da anni vanno e vengono le stesse parole consunte che però a ogni nuova narrazione si riaccendono e sembrano svelare altre trame. Ognuno di quei malati dà alle parole il suo colore, un dolore che sembra uguale fino a quando da un gesto della mano, da una frase, da un silenzio prende forma la sofferenza. Non c’è traccia di un tumulto interno, c’è solo il desiderio di ricevere cure e assistenze. L’assedio, del resto, non cambia mai spartito: comincia davanti ai due infermieri (altri 3 seguono i malati e uno si occupa dei casi covid) che assegnano il codice al malato, un colore che indica il grado di pericolosità della patologia lamentata. E prosegue dentro quelle stanze impregnate di dolore.
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