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Cosenza, pronto soccorso al collasso, rispedita a casa una paziente oncologica

Una giovane costretta a rientrare senza essere stata visitata. Solo un paio di medici nella bolgia della prima linea dell’Annunziata. La sconfitta del piano di rientro e i “pagherò” dispensati dallo Stato

La sanità è il peccato originale che da quasi tredici anni la Calabria è costretta a scontare. Una macchia nera rovesciata sulla linea del tempo tra sprechi e sforbiciate che dal 2009 hanno ridotto la rete dell’assistenza a un lamento.

Sui muri del Polifunzionale dell’Unical campeggia una scritta con la vernice spray: «Assistenza sanitaria: i diritti devono essere per tutti, sennò chiamateli privilegi». E in Calabria è una impresa riuscire a farsi visitare nei Pronto soccorso. All’“Annunziata” la prosa si unge di sofferenza quotidiana con un paio di medici costretti ad ascoltare il pianto dell’umanità dolente che arriva da ogni angolo della provincia. E così, si ammassano tutti in quelle stanze. Spesso non ci sono i lettini e i pazienti vengono parcheggiati per ore, e a volte anche per giorni, su barelle o sedie a rotelle tenute insieme da nastro adesivo in attesa di un responso che tarda ad arrivare.

Il dramma nel dramma

Lunedì sera, proprio mentre il ministro Andrea Orlando accusava lo Stato (e quindi se stesso) per aver fallito col piano di rientro della sanità in Calabria, durante la presentazione del libro di Carlo Guccione, all’“Annunziata” giungeva per un malessere generale una giovane donna straniera che vive a Montalto e che si sta sottoponendo a cure anticancro. Arrivata in ambulanza è rimasta lì ad attendere in vano qualcuno che la sottoponesse a visita. Ma dopo ore di inutile attesa è tornata a casa con lo stesso mezzo.

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