Quel presagio di morte lo sentiva dentro da qualche tempo, ormai, Lisa Gabriele, la ventiduenne trovata cadavere il 9 gennaio del 2005, in un boschetto, nel territorio di Montalto Uffugo. Era come se quel destino, affiorato da chissà quale profondità, gli camminasse al fianco. Negli ultimi mesi prima della sua dipartita aveva iniziato a comportarsi in modo strano. La zia Angelina, qualche giorno dopo la scoperta del cadavere, raccontò al figlio, tornato dalla Germania, che nelle ultime settimane «Lisa non voleva più uscire di casa». Aveva paura che le potesse capitare qualcosa di brutto e anche la sensazione d’essere seguita. Alla zia – che per anni ha cercato verità e chiesto giustizia per quella morte inizialmente catalogata come suicidio – aveva anche confidato che la sua fine era prossima. Sentiva che l’avrebbero uccisa, insomma, perché – la circostanza emerge dalle carte dell’inchiesta – «aveva sentito cose che non doveva sentire». Una frase gettata lì, in un momento di sconforto, che in quel momento appariva come una paturnia senza senso. Anche perché la ventiduenne non specificò dove e quanto avrebbe sentito «quei segreti inconfessabili» che adesso le si sarebbero dovuti ritorcere contro. Di certo c’è che aveva paura. Aveva paura del mondo che le girava attorno. Al pentito di ’ndrangheta Francesco Galdi confessò che il suo fidanzato, l’agente della polstrada Maurizio Mirko Abate, l’aveva introdotta «in un brutto giro» specificando che in quell’ambiente non solo i «coscritti» facevano uso di stupefacenti – roba pesante, ebbe a dire la ventiduenne – ma ricorrevano anche a pratiche di sesso estremo in posti dei quali la donna preferì non parlare. Lisa raccontò – e la circostanza sarebbe emersa anche da alcune intercettazioni telefoniche – che in quei convegni (ai quali partecipavano anche gay, transessuali e lesbiche) spesso le donne venivano drogate, picchiate selvaggiamente e violentate.
Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Cosenza
Caricamento commenti
Commenta la notizia