La diplomazia è al lavoro. E il ministero della Giustizia procede a passo spedito per ottenere l’estradizione. Per sette lunghi anni Carmine Alfonso Maiorano, 68 anni, è stato un imprendibile “uccel di bosco”. Si nascondeva nell’area metropolitana di Buenos Aires, confondendosi tra i tanti italiani che compongono una delle comunità di emigranti più vaste delle Americhe. È finito in manette l’altro giorno, grazie al lavoro incessante, paziente, condotto dagli investigatori delle squadre mobili di Cosenza e Catanzaro, diretti da Angelo Paduano e Fabio Catalano.
Alfano era diventata una “primula” nel 2015, quando la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, aveva attaccato frontalmente il ramo della cosca Abbruzzese di Cassano specializzato nel traffico internazionale e nella importazione di cocaina dal Sudamerica. L’oggi sessantottenne figurava come uno dei “referenti” del clan con gli emissari di un “cartello” potente, solido e attivo in Paraguay. La nazione latino-americana è diventata, dopo la Colombia e il Brasile, uno dei terminali più importanti dello smercio della “polvere bianca” verso l’Europa. La pericolosità dei paraguaiani è testimoniata dall’uccisione, nel maggio scorso, di uno dei magistrati più esposti nella lotta ai narcos che comandano ad Assuncion.
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