Per conoscere il dolore da vicino si deve varcare la soglia di uno dei Pronto soccorso dei nostri ospedali dove, giorno e notte, si vive la tragedia di una sanità alla canna del gas. Solo in quelle stanze, tutte ugualmente affollate di malati ma non di medici e infermieri, si può capire cosa sia il lamento della sofferenza e anche della paura. Lacrime e rabbia assieme di fronte alla prima coda che bisogna affrontare quando si combatte contro una malattia che improvvisamente corrode il corpo e la mente. L’attesa vibra di tensioni e di rabbia col personale sanitario in numero non sufficiente costretto a badare a quella marea umana che aspetta che si liberi un letto dentro un reparto. La necessità di tagliare le spese ha costruito un sistema-salute insensibile e sempre meno capace di ascoltare il lamento disumano dei malati che invocano il loro diritto all’assistenza e alle cure. Quei volti segnati dalla sofferenza sono il manifesto di un piano di rientro sostenuto da tredici anni di inutile commissariamento che rappresenta una delle pagine più nere della storia dello Stato italiano. Una vergogna che riverbera impietosamente nei lea più scarsi che si registrano nel perimetro dell’Unione europea. Un disastro che comincia nella prima linea dell’“Annunziata”, l’ospedale hub che è diventato l’approdo dei malati di tutta la provincia. Vanno tutti lì, nel reparto di urgenza-emergenza perché le articolazioni territoriali (i cosiddetti ospedali spoke) sono state svuotate e molti reparti non esistono più per mancanza di personale. E così capita che i pazienti siano costretti a trascorrere ore su su barelle o sedie fatiscenti in attesa di parlare con qualcuno. Altri, i meno fortunati, restano chiusi nel Pronto soccorso per intere giornate. Del resto, in corsia, non ci sono più letti liberi. Ne hanno tagliati tanti in nome del risparmio. E così alla lotteria dei ricoveri non si pesca quasi mai il bigliettino vincente.
La “rivoluzione americana”
Per cercare di tirar fuori la sanità calabrese dalle sabbie mobili, non si è pensato a investire nel personale ma a modellare la rete dei servizi assistenziali secondo uno schema mutuato dall’aviazione americana. Uno schema organizzativo che prevedeva di realizzare centri di eccellenza negli hub provinciali che sarebbero dovuti diventare luogo d’incontro di competenze specialistiche e di trattamenti complessi anche per limitare la mobilità sanitaria. Accanto agli hub sarebbero sorti i poli periferici negli spoke, strutture dotate di expertise nel campo e in grado di assicurare, in modo diffuso e capillare sul territorio, servizi assistenziali ordinari dove trattare pazienti sotto una certa soglia di complessità. Un’invenzione che in Calabria ha funzionato solo sulla carta. Nella realtà, invece, la svolta “americana” ha finito per peggiorare la qualità dell’offerta sanitaria e i tagli hanno trasformato l’“Annunziata” in un approdo di disperati naufraghi che giungono in Pronto soccorso dopo aver vagato inutilmente alla ricerca di risposte negli spoke, spariti dalla mappa dell’assistenza.
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