Il volto livido della rabbia è simile al fremito che s’avverte in mezzo alle file di una umanità rassegnata. Visite, analisi, cure: è la sanità che, in questo Sud del Sud dell’Italia, finisce in coda. L’attesa comincia davanti allo sportello del Centro unico di prenotazione, un luogo simbolo del vuoto, della sospensione tra l’essere e il non essere. Da Roma a Catanzaro si continua a discutere di massimi sistemi, cercando un salvagente nel Decreto Calabria, mentre i cittadini urtano quotidianamente contro le perversioni di un sistema d’accesso ai servizi sanitari e assistenziali che soffoca nella disorganizzazione. La solitudine del malato è il sentimento predominante che nutre quel senso di impotenza e di disorientamento che inizia proprio dal Cup, una specie di porta degli inferi che si spalanca davanti al bisogno di uomini e donne in cerca di risposte sulle proprie condizioni di salute o su quelle di persone care. Una frontiera da attraversare, ogni giorno, in mezzo a uno scenario di riconoscibile dolore. Un altrove impregnato di rassegnazione che è identico al di là del luogo fisico (l’impressione è comune, sia in via Popilia, sia all’Annunziata e del resto il Cup è la stazione condivisa dalle due Aziende).
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