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Ospedale di Cosenza, esami e ricoveri... a numero chiuso

Picarelli (Fismu) sollecita assunzioni mentre l’Inps rivendica le prove dei contributi versati in passato per 200 milioni di euro. Due anni per un intervento chirurgico di ernia e pazienti oncologici in coda in Urologia

Chi guarda al monitoraggio dei lea con smarrimento dimentica che cosa sia oggi la sanità dei nostri ospedali. I numeri che sintetizzano le prestazioni erogate nel decennio 2010-2019 in Calabria definiscono solo in parte il volto emaciato di servizi assistenziali che galleggiano nella penombra di una crisi irreversibile, tra reparti chiusi o accorpati, senza più letti e con personale insufficiente. La debolezza del sistema salute regionale ha generato la ripresa della migrazione dopo il Covid. Ma, a differenza del passato, il viaggio del migrante in cerca di cure rischia di diventare un viaggio senza ritorno verso le nostre strutture sempre più intasate e meno accessibili, generando vorticosi aumenti della spesa a carico della Regione. Il rientro, in queste condizioni, non ha senso e diventerebbe una inutile illusione. La debolezza del nostro sistema salute, con interi reparti svuotati da tredici anni di commissariamento, finisce per spostare preziose risorse verso gli ospedali del Nord. Ed è così che si allarga la forbice della disuguaglianza con una Italia sempre più spaccata e con la Calabria e il Cosentino che arrancano in fondo alla fila.

Le code nell’hub

La sanità è in coda ovunque a Cosenza e in provincia. Nei Cup di Asp e “Annunziata”, negli ospedali spoke e, soprattutto, in quello principale. L’hub che in teoria dovrebbe essere il polo dell’alta specializzazione è ridotto a una maschera di sofferenza. L’affanno comincia dal Pronto soccorso sotto pressione e prosegue nei reparti di degenza, dove il dolore e l’affanno raccontano quel mondo che sembra finito, un mondo spopolato senza più medici e infermieri. L’orizzonte più confuso è quello dell’area chirurgica con l’abisso di liste d’attesa che degradano verso una emergenza senza fine per mancanza di anestesisti e ferristi. Basti pensare a chi soffre di ernia: per l’intervento in elezione possono passare anche due anni. La strada si accorcia solo nel caso di degenerazione della patologia (ernia strozzata). Ma si tratta di una eventualità da scongiurare per le possibile conseguenze a carico del paziente. L’alternativa è quella di rinunciare all’assistenza pubblica e rivolgersi alle strutture private o spostarsi fuori regione. In sala operatoria finiscono poche colecisti. Le code si allungano fino a 8 mesi. Anche in questo caso vale l’opzione della fuga dall’“Annunziata” verso i privati. L’alternativa degli ospedali periferici non viene considerata perché i vuoti all’interno delle varie piante organiche hanno assunto dimensioni tragiche. In Urologia persino i pazienti oncologici sono in lista d’attesa mentre in Ortopedia si fatica a trovare un letto libero per gli interventi urgenti e le fratture gravi. Qualche giorno fa un sessantenne con la rottura del piatto tibiale è rimasto per sei giorni ad aspettare in Pronto soccorso l’intervento chirurgico. E le cose vanno peggio per l’ecodoppler alle gambe. Prenotarsi è impossibile, non c’è una data precisa per l’esame.

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