L’architetto che si vantava delle parentele di ’ndrangheta, non mancava secondo gli inquirenti di sottolineare ai suoi interlocutori recalcitranti, il suo “pedigree” mafioso. Gli investigatori lo descrivono come il “deus ex machina” del business illegale finalizzato a mettere le mani sui fondi della ricostruzione del post-terremoto nel Mantovano. Nelle carte dell’inchiesta “Sisma” venuta alla luce col blitz di ieri mattina, Giuseppe Todaro (36 anni, originario di Cutro ma residente e Reggiolo), è indicato come un libero professionista ma nei fatti è stato un «tecnico aggiuntivo esterno» dei Comuni del cratere sismico (Poggio Rusco, Borgo Mantovano, Magnacavallo, Sermide e Felonica). È da questa sua posizione privilegiata gestiva le pratiche della ricostruzione.
L’architetto Todaro, spalleggiato dal padre Raffaele (61 anni residente a Peschiera del Garda ma cutrese d’origine), durante i colloqui registrati dagli investigatori dell’Arma dei Carabinieri coordinati dalla Dda di Brescia, «rivendica orgogliosamente – scrive il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Brescia – la propria posizione derivante dal proprio “prestigio mafioso”, sia la ricchezza nel frattempo accumulata dal suo nucleo familiare, non mancando di veicolare minacce, esplicitando la fama criminale e la capacità offensiva della cosca, secondo i classici sistemi mafiosi ogniqualvolta fosse necessario riaffermare la sua autorità».
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