Esistono storie che non si possono dimenticare, storie che sconvolgono vite, che portano il dolore in mezzo ad altro dolore. La sanità dell’emergenza-urgenza è un lievito amaro che in questa terra mostra le cicatrici e i graffi di tredici anni di commissariamento. Col buio, poi, tutto diventa più complicato, soprattutto in periferia (l’area urbana di Cosenza è stata riorganizzata proprio di recente). Star male di notte è una disgrazia. Non è mai facile trovare un’ambulanza vicina che sia in grado di intervenire entro quei 21 minuti che rappresentano il crono richiesto nel pronto intervento sanitario. Un tempo medio individuato all’interno dell’intervallo allarme target che definisce i lea. L’Asp di Cosenza, almeno sulla carta, riesce a rispondere mediamente in mezz’ora (secondo le ultime indicazioni risalenti al dicembre del 2021). Ma spesso, non è così, i tempi variano a seconda del luogo geografico da raggiungere. E non solo. Qualche volta il ritardo può dipendere dal fatto che il mezzo più vicino si trova impegnato in un altro soccorso o in un trasferimento di paziente. Altre volte, invece, è in coda all’Annunziata in attesa di “sbarellare” o arriva sul posto senza medico con autista e infermiere che si ritrovano ad affrontare la rabbia dei familiari del paziente grave (come è accaduto qualche giorno fa in via Popilia). Eppure, nell’accordo di rete tra Asp e Azienda ospedaliera, il 118 è diventato l’architrave su cui poggia la riuscita dell’ambizioso progetto che punta a invertire il destino del sistema-salute in Calabria. In ambulanza ci sarà il primo triage per la scelta del luogo di cura più adatto a cui affidare il paziente. Un protocollo pensato per rimuovere l’assedio alla prima linea dell’Annunziata. Ma quella corsa contro i secondi non è mai uguale. Certe volte diventano minuti, spesso si arriva anche ad ore. Dipende.
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