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Cosenza, la sete cresce tra perdite in rete e allacci abusivi

L’acqua resta un problema per i cosentini costretti a fare i conti con la crisi delle infrastrutture e la distribuzione inadeguata. Secondo Palazzo dei Bruzi sarebbero circa 3mila le utenze “fantasma”. E le tariffe sono low cost

Non c’è più acqua e la politica continua a prendersela col cielo come se fosse colpa del Padreterno a non averci fornito un sistema di distribuzione efficace. Certo, il cielo è sempre più avaro in una provincia sempre più assetata. E l’Abatemarco, l’acquedotto più grande della Calabria, continua a girare al minimo storico. La gente si dispera perché nelle case l’“oro blu” arriva in quantità sempre più ridotte. Le precipitazioni invernali non hanno restituito l’antico vigore alle fonti di Favata Alta, Favata Bassa e Nascejume che, insieme a Mezzafiumina, danno nutrimento all’Abatemarco. Il rischio è che Cosenza e gli altri 22 comuni della rete vengano condannati alla sete. Una sentenza inquietante anche se l’ultimo rapporto idrologico presentato al Senato dalla Fondazione Italiadecide (realizzata da “Earth Water Proger” su dati Ispra, Copernicus, Cnr, Enea, Istat, Autorità di Bacino, Regioni, Ministeri, Consorzi di Bonifica e Utilitalia), descrive un paese ricco d’acqua e sufficientemente bagnato da precipitazioni annuali.

Problema storico

A pensarci bene, però, indipendentemente dalle nuvole più o meno gravide di pioggia, sono anni che si parla sempre dello stesso problema. Già, perché, oggi come ieri i rubinetti delle case dei cosentini pompano aria. L’acqua, invece, si perde chissà dove. Si perde insieme ai miliardi di euro finanziati e, evidentemente, spesi male che fanno da contorno a una storia drammatica e comica. Piove poco e, forse, non pioverà più come prima. Ma anche quando c’era la pioggia, nelle case di Cosenza non entrava acqua a sufficienza. E pure i cittadini di Rende e degli altri comuni dell’area urbana vivono da sempre con la stessa sete. Eppure, c’è tanta acqua intorno alla città, acqua che scorre impetuosa dentro i torrenti della Sila. Ce n’è abbastanza anche nel Crati e nel Busento, ma non ce n’è dentro i tubi che si allacciano alle nostre case. Si fatica a comprendere il mistero dell’acqua che si perde. La crisi idrica è, evidentemente, una crisi di infrastrutture all’interno di un sistema di approvvigionamento e distribuzione non adeguato.

L’Abatemarco

Lo storico acquedotto è uno schema idrico complesso che sale, scavalca montagne, scende e, infine, corre verso le città. Viaggia in duecento chilometri di condotte, in parte sospese e in parte scavate nelle viscere del Cosentino, per sgorgare, alla fine di questo viaggio, dai rubinetti delle abitazioni di mezza provincia. Ma le sue ossa sono fragili, cedono spesso e le interruzioni sono frequenti come i disagi. Ed è così che in città di acqua non ce n’è mai stata abbastanza pur costando cara ai contribuenti. Canoni d’oro per un servizio idrico quasi sempre in emergenza.
Situazione in città L’ultimo report di Cittadinanzattiva fornisce i dati sul costo dell’acqua e sulle perdite in tutta Italia.

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