La grande bugia. Che il detto “la ’ndrangheta non uccide donne e bambini” fosse un falso mito lo si sapeva già da tempo. Nel caso in cui qualcuno sentisse il bisogno di testare l’ennesima cartina tornasole sul caso potrebbe analizzare quanto è accaduto nella Sibaritide tra il gennaio 2014 e il maggio di quest’anno dove, a conti fatti, la mafia calabrese ha ammazzato con immane violenza tre donne e un bambino.
È il 16 gennaio del 2014 quando a Cassano scompare Iannicelli, sorvegliato speciale. “Peppe”, com’era conosciuto in città, era in compagnia del nipotino Nicola “Cocò” Campolongo, e della compagna ventisettenne Ibtissa “Betty” Taoussa. I loro corpi saranno ritrovati carbonizzati tre giorni dopo, il 19 gennaio, in contrada “Fiego” all’interno di una Fiat Punto. Gli investigatori troveranno anche una moneta da cinquanta centesimi lasciata sull’auto a dimostrazione di quanto valesse per gli assassini la vita di quelle tre persone trucidate a colpi di pistola e date alle fiamme. Del triplice omicidio parla tutto il mondo e per il feroce eccidio saranno condannati Cosimo Donato e Faustino Campilongo, entrambi di Firmo e all’epoca dei fatti rispettivamente di 38 e 39 anni. I conti, però, non tornano completamente e l’impressione è che i veri colpevoli, i mandanti, non fossero mai stati alla sbarra e così “Topo” e “Panzetta”, questi i soprannomi dei due, pagano per tutto e tutti.
Le ’ndrine tornano a mettere nel mirino una donna nell’aprile dello scorso anno. È il pomeriggio del 4 aprile: Maurizio Scorza, 57 anni, vecchia conoscenza delle forze dell’ordine, sale in auto - una Mercedes - insieme con la compagna di origini magrebine, Hanene Hendhli, 38 anni. L’uomo non sospetta di nulla: chi ha deciso di ucciderlo ha fatto in modo che non provasse alcun timore. «Il capretto è pronto vienitelo a prendere» si dice questo nell’ultima, insistente, chiamata che lo condurrà all’ultimo appuntamento. Al loro arrivo, però, oltre al capretto che sarà rinvenuto chiuso nel bagagliaio insieme al corpo di Scorza, ritrovano davanti due sicari armati di pistole calibro 9 per 21. Uno dei sicari lo fulmina con due pallottole esplose alla testa da distanza ravvicinata. La compagna tunisina che è rimasta in macchina, allarmata dai colpi, prende il cellulare e tenta di mettersi in contatto con la sorella di Scorza. Aggancia la chiamata ma non riesce a parlare perché il secondo componente del gruppo di fuoco le si avventa contro esplodendo 13 colpi in rapidissima successione che non le lasciano scampo. Per questo omicidio, attualmente, è finito sotto inchiesta solo il basista, Francesco Adduci, di 58 anni.
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