“Me lo aspettavo ma sono innocente”, pizzaiolo cosentino arrestato dopo 28 anni per l’omicidio della ex
Cold case risolto dopo 28 anni. Un pizzaiolo calabrese, Salvatore Aldobrandi, è stato arrestato in Italia con l’accusa di aver ucciso la sua fidanzata nel 1995 in Svezia. La vittima era Sargonia Dankha, una ragazza di 21 anni irachena, naturalizzata svedese, sparita il 13 novembre 1995 a Linkoping. Il suo corpo non è mai stato ritrovato. L’uomo oggi ha 73 anni e, nonostante l’età e i problemi cardiaci, continuava a lavorare come pizzaiolo a Sanremo e si faceva chiamare Samuele. Aldobrandi è stato portato in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato dai motivi abietti e futili. Il 73enne è accusato anche di soppressione del cadavere di Sargonia Dankha. Attraverso delicate e complesse indagini, condotte dal procuratore capo di Imperia, Alberto Lari, dai sostituti Maria Paola Marrali e Matteo Gobbi. Quando la Polizia giudiziaria ha bussato alla sua porta, Aldobrandi ha esclamato: «Me lo aspettavo, ma sono innocente». L’indagato, originario di San Sosti nel Cosentino, si era trasferito a Sanremo nel 1996, dopo alcuni mesi trascorsi in carcere in Svezia, dove era stato accusato di aver ucciso la giovane con la quale era fidanzato. Lì non venne processato perché in Svezia in assenza di cadavere non si può andare a processo. Ma la famiglia della vittima ha sempre cercato la verità e ha deciso di affidarsi a un legale milanese, che ha fatto riaprire il caso in Italia e dopo mesi di indagini la procura di Imperia è arrivata a una svolta. Il pizzaiolo è difeso dall’avvocato Andrea Rovere. Il legale non conosce Aldobrandi e lo incontrerà domani. All’epoca dei fatti, l’indagato aveva 45 anni e aveva una relazione con la ragazza che – secondo le indagini – voleva invece interrompere la relazione. Secondo il sostituto Marrali si tratta di «un femminicidio ante litteram». Ad essere convinti che ad aver ucciso Sargonia Dankha fosse stato il fidanzato, non erano solo gli investigatori svedesi, ma anche il fratello della ragazza, che nel dicembre del 2016, nel corso di una trasmissione televisiva sul caso trasmessa in Svezia, aveva dichiarato di essere «molto deluso. Non capisco, con tutte le prove che ci sono, come si possa lasciare libera quella persona». Durante quella trasmissione, anche il capo della sezione investigativa della Polizia del posto, Jan Staaf, aveva detto: «Sappiamo che quella era la strada giusta». Per tutti questi anni, la famiglia della ragazza anche con l’aiuto di un investigatore, ha continuato a cercare nuovi indizi per incastrare l’ex compagno, che all’epoca gestiva un ristorante proprio a Linköping. Nel corso delle indagini, i poliziotti svedesi trovarono sangue e capelli della donna nel bagagliaio di una Ford Escort rossa in uso ad Aldobrandi. Nel 2002, i detective svedesi annunciarono che, secondo quanto emerso dalle indagini, il presunto assassino aveva dei complici, persone che lo hanno aiutato a far sparire il corpo, molto probabilmente in una discarica. I magistrati di Imperia sono più che convinti che «le prove contro Aldobrandi sono schiaccianti». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria