A un certo punto sarebbe necessario metterli in colonna i chilogrammi di droga sequestrati negli ultimi quaranta giorni, da Polizia e Carabinieri, per scoprire non solo l’enorme peso delle sostanze stupefacenti sottratte al mercato dello sballo, ma anche la pervasività d’un fenomeno che è diventato, alla luce delle ultime contingenze (ovvero la scoperta di ben quattro “fabbriche” di marijuana), sempre più difficile da governare. L’ultima indagine chiusa l’altro ieri dai carabinieri del Comando provinciale, con la notifica di sette misure cautelari e lo smantellamento di un’ampia, amplissima, piazza di spaccio, ha dimostrato – qualora ce ne fosse stato ancora bisogno – che in un perimetro urbano abbastanza esteso, che abbraccia non solo la città dei bruzi e l’hinterland rendese, compreso il campus universitario di Arcavacata, ma anche svariate zone della Valle del Crati, dell’Arbëria, della Presila e della Valle del Savuto, c’è un “popolo della droga” che brulica, ordisce trame per realizzare un anomalo e inquietante e redditizio progetto economico. Ché finché va bene, la droga ne muove un bel po’ di economie. Basti pensare agli investimenti sostenuti da un presunto gruppo d’affari formato da tre cinesi e un imprenditore coriglianese per metter su tre “fabbriche” di marijuana, due in provincia di Cosenza (nei comuni di Santa Sofia d’Epiro e Luzzi) e una nel comune di Amato in provincia di Catanzaro, scoperte nelle scorse settimane, dai poliziotti del Commissariato di Corigliano Rossano, a pochi giorni di distanza una dall’altra. Idem a Mendicino, dove nei giorni passati i carabinieri della Compagnia bruzia, hanno smantellato due serre per la coltivazione della marijuana allestite, da marito e moglie, all’interno d’una villetta.
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