Negli ultimi giorni di permanenza in carcere, a Paola, Raffaele Calamita era irrequieto. Il 34enne era diventato ribelle, polemico e poco rispettoso delle regole. Qualcosa lo agitava e il suo malessere era palpabile. L’avvicinarsi del nuovo processo grazie a quella revisione disposta dalla Cassazione aveva fatto forse maturare in lui nuove convinzioni. Quell’omicidio di cui si era sempre professato innocente e per il quale era stato condannato a 16 anni era divenuto un fardello difficile da sopportare e continuare a rimanere tra le sbarre insostenibile. Aveva voglia di libertà. In ogni caso prendeva parte al programma di trattamento, ma pare soltanto per ottenere quei benefici per poter avere permessi.
La “fuga” dopo sette giorni trascorsi nella parrocchia della Madonna del Carmine potrebbe anche essere stata programmata. Era con una donna con la quale si sentiva da tempo a Sciacca, in provincia di Agrigento. Ma sono al momento queste solo supposizioni in quanto il caso è adesso al vaglio dell’autorità giudiziaria.
Raffaele Calamita l’uomo acciuffato in Sicilia il 7 ottobre dagli agenti della squadra mobile di Agrigento è vissuto in ambienti prossimi alla criminalità del vibonese. È stato sottoposto a fermo di indiziato per delitto ad ottobre 2012. L’omicidio secondo le prime indagini sarebbe stato commesso in concorso con almeno altre due persone. Ad aiutare i Carabinieri nelle indagini la testimonianza di una donna che poi è stata “screditata” lo scorso anno da un collaboratore di giustizia. All’epoca Calamita era solo un ragazzo di 23 anni. Secondo gli inquirenti l’omicidio è stato commesso per una vendetta maturata negli ambienti della criminalità organizzata. L’uomo conosciuto con il soprannome di “U maleu” e con precedenti penali venne raggiunto da quattro colpi di pistola calibro 9 il 10 settembre 2012.
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