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Fatta luce su due casi di lupara bianca: arrestati tre boss di Cirò Marina e Corigliano Rossano

La lupara bianca. Il sistema prediletto dalle cosche della ‘ndrangheta per liberarsi di picciotti troppo “autonomi” e di fiancheggiatori “inaffidabili”. L’eliminazione “silenziosa” non crea infatti allarme sociale e serve a lanciare un messaggio terrificante a tutto il sottobosco criminale: chi meriterà di morire non avrà una tomba su cui i propri cari potranno inginocchiarsi a pregare.
La Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha fatto luce su due sparizioni avvenute lungo la fascia ionica posta a cavallo tra le province di Cosenza e Crotone. Si tratta delle morti di Salvatore Di Cicco, detto “Turuzzu sparami in pettu”, cassanese, svanito nel nulla il primo settembre del 2001 a Crucoli e di Andrea Sacchetti, rossanese, assassinato il sei febbraio di quello stesso anno nella Sibaritide. Il primo fatto fuori per timore che potesse pentirsi o fare da “confidente” alle forze dell’ordine; l’altro perchè era entrato in contrasto con un capobastone locale e rischiava di trasformarsi in un pernicioso “nemico”.
Per l’omicidio Di Cicco, il gip distrettuale, Sara Merlini, ha emesso una ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Giuseppe Spagnolo, detto “u banditu”, 54 anni, boss e “azionista” del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò Marina, di un suo fidato compare di cosca, Giuseppe Nicastri, 74 e di uno storico appartenente alla ‘ndrina di Corigliano Rossano, Rocco Azzaro, 69.
Per l’assassinio di Sacchetti, il gip di Catanzaro, Gabriella Pede, ha disposto l’arresto del solo Azzaro. La ragione? L’esecutore materiale del delitto, Eduardo Pepe, del clan Abbruzzese di Cassano, è stato ammazzato in un agguato il tre ottobre del 2002 insieme con il suo sodale Fioravante Abbruzzese. Gli altri due correi nell’esecuzione del crimine sono invece diventati collaboratori di giustizia: si tratta di Nicola Acri, inteso come “occhi di ghiaccio”, ergastolano e già padrino di Rossano e del suo fidato guardaspalle, Ciro Nigro, pure lui con una condanna definitiva al carcere a vita sul groppone.

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